di Ferruccio di Paolo
Per pandemia si intende una malattia di natura infettiva che si diffonde attraverso trasmissione uomo-uomo o animale-uomo su più continenti o in tutto il mondo.
Una pandemia può sorgere all’improvviso e colpire simultaneamente un significativo numero di persone in tutto il mondo. È pertanto un evento critico che ha la potenzialità di minacciare non solo la salute, ma anche la sicurezza pubblica globale e ogni ambito delle attività umane, con implicazioni per le economie locali, nazionali e internazionali, il tessuto sociale delle nazioni e la sicurezza nazionale.
Come in altri tipi di crisi, anche durante una pandemia la comunicazione deve essere immediata ed efficace e basata sulla raccolta e la condivisione di dati affidabili e accurati. Ci saranno diversi tipi di informazioni e di istruzioni da trasmettere, e dovranno tener conto delle complessità logistiche, sociali, economiche e psicologiche della situazione che ci si presenta davanti.
In una fattispecie pandemica, la minaccia è diffusa ma, contemporaneamente, può essere di difficile e non immediata comprensione. La popolazione, ma anche molti decisori, si trovano di fronte a qualcosa le cui manifestazioni iniziali possono non essere evidenti e non sembrano rappresentare un pericolo imminente. L’evento sarà probabilmente sottostimato e la maggior parte della popolazione non se ne interesserà veramente, e non presterà attenzione al fenomeno, fino a quando la malattia non colpirà vicino casa. Di conseguenza, la tempestività della comunicazione è cruciale in questi momenti per cercare di far comprendere la gravità della situazione, per far percepire le peculiarità della malattia, ribadendole sin dai primi momenti con una comunicazione cadenzata, regolare e che non tralasci i dettagli, non dando nulla per scontato.
Una corretta comunicazione in ogni fase di una pandemia, dalle prime evidenze fino al ritorno alla normalità, considerata la sua assoluta rilevanza, è essenziale che sia frutto di una pianificazione, avanzata e approfondita, redatta in epoca di “tranquillità”, nel cosiddetto tempo di pace. Questo permetterà di applicarla attraverso una strategia chiara, decisa, pur se flessibile e immediatamente adattabile al tipo di crisi sopraggiunta, o alla situazione che si presuppone possa sfociare in una crisi. Una giusta comunicazione permetterà non solo di evitare che le azioni messe in atto per fermare la diffusione della malattia vengano rese inefficaci dalla non obbedienza o dal diffondersi del panico, ma anche per gestire al meglio rumors, fake-news e la disinformazione malevola, tesa a colpire lo Stato.
Compito strategico della comunicazione in una crisi provocata da una pandemia consiste nella necessità di ridurre il senso di smarrimento e incertezza nella popolazione. La comunicazione contribuirà così a raggiungere gli obiettivi primari che sono: limitare il numero delle vittime e impedire la disgregazione del sistema sociale. L’incertezza rappresenta una grande nemica in una situazione di crisi perché annulla la prospettiva di un futuro, riduce la capacità di programmazione della vita, allontana l’idea di una uscita dal malessere che si prova e fa diminuire drasticamente la fiducia nelle istituzioni la contezza dell’importanza della salvaguardia della salute delle persone.
Combattere l’incertezza significa anche ridurre il senso di paura, contenerlo, evitare che trascenda in panico, mantenerlo entro quella soglia di sana paura di fronte al pericolo, quella che portava i nostri progenitori a rifugiarsi in una grotta alla vista di un predatore, lasciando guerrieri e cacciatori a difendere il territorio, è la paura che garantisce la sopravvivenza della specie.
La gestione della comunicazione richiederà una risposta a numerosi quesiti. Accanto alle problematiche e alle sollecitazioni provenienti dalla popolazione legate alla soluzione della crisi, la comunicazione dovrà fornire una corretta informazione su quanto sta accadendo, dare indicazioni comportamentali, monitorare i flussi comunicativi verticali provenienti dal basso o orizzontali all’interno della popolazione.
Ci sarà anche da gestire una comunicazione mirata ai first responders attivi sul territorio. Tra questi ci sono medici, specialisti, infermieri e tutti gli altri operatori sanitari che avranno bisogno di informazioni costanti e aggiornate, nonché direttive utili e valide per la loro messa in sicurezza, essendo continuamente esposti a malati o asintomatici, comunque potenziali vettori del virus. Analogamente a quanto avviene per le altre forze di safety e security, gli operatori sanitari necessiteranno anche di competenze, risorse e specifico addestramento per affrontare la massiccia richiesta di informazioni da parte dei pazienti e delle loro famiglie, considerando che la richiesta pressante proverrà anche da persone che semplicemente temono di essere contagiate.
Ci saranno fattori e problemi che richiedono una comunicazione estesa, frequente, interattiva e collaborativa tra diverse istituzioni ed enti che agiranno per far fronte alla crisi, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. È fondamentale, in fase di pianificazione, comprendere, accettare e anticipare questa complessità, affinché possano essere superati ostacoli tecnici di comunicazione dati dalla mancanza di conoscenza tra i vari attori e dalla mancanza di omogeneizzazione dei codici comunicativi tra le varie agenzie.
Una prima sfida per la comunicazione durante una pandemia sarà quella di contrastare la confusione intorno al concetto di “influenza”. La presenza di importanti e spesso confuse similitudini tra l’influenza stagionale e la possibile pandemia influenzale porterà a ricercare parallelismi e confronti riguardanti i sintomi, la diagnosi, il trattamento, la trasmissibilità e la mortalità della varietà di virus influenzali. Affidarsi alla esperienza empirica può portare a convincimenti errati, a volte anche distorsivi rispetto alle informazioni che perverranno.
Le epidemie di influenza stagionale possono causare un alto numero complessivo di morti, ma l’impatto di una pandemia è causa anche di fortissime ripercussioni sociali ed economiche, ed è fonte di grande preoccupazione per la capacità di esaurire velocemente le risorse dei sistemi sanitari
Per avere un riferimento empirico pensiamo che la pandemia dell’influenza del 1918, la cosiddetta “spagnola”, ha causato tra i 40 e i 50 milioni di morti in tutto il mondo. La letalità le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell’umanità: ha infatti causato più vittime della terribile peste nera del XIV secolo e della stessa Prima guerra mondiale.
Illustrare le differenze e far capire la qualità del nemico che ci si trova ad affrontare è il primo passo di una comunicazione tempestiva: evidenziare le distinzioni in tutti i messaggi e, sin dall’inizio, lavorare con i media più diffusi e con un seguito maggiore.
Le caratteristiche di una pandemia prescindono dall’agente stesso e sono condensabili in pochi punti:
- Una malattia che colpisce diversi continenti e un gran numero di individui.
- Un virus con caratteristiche completamente nuove di cui non si sanno predire i comportamenti.
- Una tipologia di infettante contro la quale la comunità ha poca o nessuna immunità.
- Un virus per il quale non esiste un vaccino né medicine efficaci che possano contrastare i suoi effetti più dannosi.
Se a queste caratteristiche aggiungiamo un tempo di incubazione lungo – e che quindi consente la mobilità del soggetto positivo e la sua capacità di veicolare il contagio – e tempi ospedalieri di degenza particolarmente prolungati, emergono immediatamente tutte le difficoltà di contenimento e risposta all’evento.
Le informazioni, fin quando non viene identificato il ceppo virale, non saranno sufficienti per costruire vaccini, agenti antivirali o altri medicinali curativi disponibili, e questo nonostante le forti interconnessioni e collaborazioni in campo mondiale della ricerca medica. Considerando anche che la vaccinazione concreta della popolazione presuppone non solo la realizzazione del vaccino, ma anche la sua sperimentazione sull’uomo, la verifica di eventuali effetti collaterali, la produzione di massa, la distribuzione e la predisposizione di una campagna vaccinale rapida, centrare la comunicazione sulla speranza salvifica di un vaccino sarebbe deleterio.
Nonostante altri vaccini facciano ricorso a conoscenze innovative, quello dell’influenza utilizza strumenti fragili e limitati basati su una tecnologia che risale agli anni ’50. Oggi la produzione di vaccino antinfluenzale si aggira attorno ai 300 milioni di dosi annuali per quello trivalente o a 1 miliardo di dosi per il monovalente. Considerando la comparsa di un nuovo ceppo virale, la protezione delle persone sarà garantita solo dopo due inoculazioni vaccinali. Con i numeri di oggi questo significa che meno di 500 milioni di persone, circa il 14% della popolazione mondiale, riuscirà ad essere vaccinato entro un anno dallo scoppio della pandemia. In più, visto che la struttura del virus potrebbe cambiare in fretta, la produzione del vaccino può iniziare solo a pandemia scoppiata, al fine di garantire un prodotto quanto più efficace possibile.
Una stima estremamente benevola può ipotizzare un tempo minimo di sei mesi dallo scoppio della pandemia per arrivare a un primo vaccino o alla definizione di cure consolidate, periodo in cui, se la pandemia è improvvisa e rapida nel diffondersi, si verificheranno situazioni di grande emergenza sanitaria, di sovraffollamento ospedaliero, di richiesta di dotazioni di protezione personale, sia per gli operatori, sia per i cittadini. Si può ipotizzare anche un aumento di richiesta di farmaci, da quelli antivirali, per i quali si pone il problema della quantità di scorte e della loro efficacia per quel particolare nuovo virus (inoltre per la maggior parte dei paesi non sarebbero utilizzabili per l’alto costo) o di antibiotici, per curare le infezioni batteriche di insorgenza secondaria.
Le prime ondate di vittime, le loro famiglie e le persone con cui sono entrati in contatto avranno bisogno di istruzioni educative specifiche, raccomandazioni, cura e trattamenti. Esistono poi dinamiche psicologiche e sociali da affrontare. Individualmente centinaia di persone si ritroveranno con persone a loro care colpite dalla malattia, con decessi o necessità di cure e assistenza, con la paura di cadere essi stessi malati.
I lavoratori sanitari costituiscono la prima risorsa, ma anche la principale interfaccia nei rapporti di comunicazione con la popolazione; devono affrontare la sfida di rispondere a molteplici sollecitazioni e devono essere altamente preparati in anticipo per proteggere non solo i loro pazienti e i loro clienti, ma anche loro stessi e le loro famiglie.
L’organizzazione stessa della vita sociale avrà forti ripercussioni, con assenze dal lavoro, anche in settori strategici, pericolo di spostamenti massicci di popolazione, pericoli di rivolte popolari a cui aggiungere la minaccia di una disinformazione alla popolazione provocata, dalla semplificazione dei problemi, tipica caratteristica della errata o malevola o non sufficientemente controllata comunicazione di massa.
Pur essendo potenzialmente molto più preparati a rispondere all’insorgere di qualsiasi pandemia, oggi siamo nello stesso tempo più fragili e più esposti agli eventi pandemici di quanto non siamo mai stati in passato. La società del rischio, di cui ha parlato per la prima volta Ulrich Beck, con le sue interconnessioni e la evidente fragilità tecnologica, ci espone all’insorgere di situazioni di dimensioni planetarie e difficilmente controllabili.
I rischi tecnologici odierni non sono più solo il risultato di errori accidentali, ma sono considerati da Beck intrinseci ai processi produttivi, alle forti interconnessioni tra le varie attività produttive, alla globalizzazione – che crea continui scambi internazionali – alle molteplici sfaccettature e fragilità della nostra organizzazione sociale. I rischi conseguenti all’uso della complessa tecnologia moderna sono inevitabili: più un apparato è complesso, più facilmente può fallire. Il livello di sviluppo tecnologico ci porta ad una crescente dipendenza dalla tecnologia applicata, dove, ancora una volta, la catena dei processi produttivi è così stretta e solida da legare alcune strutture in modo tale che il fallimento di una possa seguire il fallimento di un altra, e dove, contemporaneamente, la diffusione di grandi mezzi di comunicazione di massa porta ad una maggiore contezza del rischio nella popolazione.
Il concetto di società a rischio, dove il rischio trascende le frontiere, sottolinea quanto sia difficile, però, riconoscerne la natura sistemica, cioè derivata dalle moderne tecniche di produzione, quasi un effetto indesiderabile di esse.
I moderni mezzi di trasporto fanno sì che non solo le grandi distanze, ma anche gli oceani o le catene montuose, non costituiscono più efficaci ostacoli alla diffusione geografica di un’epidemia attraverso il contatto umano-umano. Non ultimo, il problema della deforestazione e dell’incursione umana in aree precedentemente abitate solo da animali può creare nuove esposizioni a virus a cui gli esseri umani hanno poca o nessuna immunità.
Un’arma per contribuire a lavorare bene sul fronte della comunicazione, nel caso dello sviluppo di una epidemia, è indubbiamente quella di giocare in anticipo sulla raccolta di informazione e dati e costruire in “tempo di pace” una fitta maglia di costanti contatti tra fonti sicure e accreditate e il mondo dei media nel suo complesso.
Il mondo della comunicazione, collaborando con istituzioni e scienza medica, deve essere in grado di capire, ed eventualmente essere in grado di spiegare al grande pubblico, come una nuova malattia possa rappresentare una potenziale fonte di pandemia. Con la consapevolezza che spesso, nelle fasi iniziali di una crisi, la comunicazione è l’arma più efficace che abbiamo a disposizione per ridurre l’impatto dell’evento sulla popolazione.
La comunicazione di crisi delle istituzioni
La comunicazione di crisi è sempre collegata alle fasi della crisi, ha il compito di permettere alla popolazione di costruirsi una narrazione degli eventi tale da ridurre l’incertezza per il futuro e mitigare gli effetti più dannosi e dirompenti.
La comunicazione di crisi non è una unilaterale operazione di relazioni pubbliche ove le istituzioni tentano di convincere l’opinione generale, ma un processo a due vie orientato anche all’ascolto di chi sta subendo l’impatto dell’emergenza, trovando le modalità corrette per permettere loro di costruire una corretta narrazione e comprensione degli eventi. Bisogna cercare le parole giuste per dare senso a ciò che sta accadendo fornendo non solo informazioni, ma ribadiamo, anche una narrazione. Pensiamo che aiutare a costruire un senso di quanto sta accadendo può permettere di ridurre l’incertezza.
Sulla base degli insegnamenti provenienti dalle esperienze e dalla letteratura in materia, andrà realizzata una comunicazione diversificata per categorie sociali, capace di parlare a tutti superando i filtri sociodemografici e culturali, come, ad esempio, età, sesso, collocazione geografica, livello di istruzione, orizzonti culturali di riferimento.
Sarà attenta a rispondere alla necessità di un costante, capillare monitoraggio dei social media e delle possibili fake news che possono diffondersi. Nella attuale proliferazione di notizie la presenza tempestiva delle istituzioni potrebbe garantire non solo l’autorevolezza nella produzione dei messaggi di mutuo soccorso, ma anche svolgere una funzione strategica di filtro comunicativo per la cittadinanza sulla veridicità e correttezza delle informazioni.
Comunicare bene non solo permette di ridurre timore e incertezze nella popolazione, ma supporta messaggi chiari agli operatori impegnati nelle attività di soccorso. Tali comunicazioni rappresentano per queste categorie un ulteriore strumento di difesa, contribuendo a garantire loro incolumità e sicurezza.
Accompagnare alle norme comportamentali messaggi legati alla emotività e agli affetti. Per un verso il tentativo di ridurre il naturale senso di “immortalità” caratteristica dell’età giovanile e dall’altra lo smarrimento e l’ansia che in una situazione pandemica possono coinvolgere sempre più le fasce anziane della popolazione.
La comunicazione nelle attuali pianificazioni
Nel caso della pandemia il WHO attribuisce alla comunicazione un ruolo specifico in ogni fase di una pandemia. Nello specifico le fasi pandemiche e i diversi compiti attribuiti alla comunicazione, riportati nella sottostante tabella, sono illustrate nelle seguenti schede.
Fase 1 – Non vengono scoperti nuovi sottotipi di virus influenzali. Un sottotipo di virus di influenza che provoca l’infezione nell’uomo potrebbe essere presente anche negli animali. Il rischio è basso.
Fase 2 – Non vengono scoperti nuovi sottotipi di virus influenzali. C’è però il rischio sostanziale che un virus influenzale diffuso negli animali si trasmetta all’uomo ed è quindi considerato una specifica potenziale minaccia pandemica.
Periodo di allerta pandemica
Fase 3 – Infezioni nell’uomo da parte di un nuovo sottotipo di virus, ma non c’è ancora trasmissione diretta della malattia da persona a persona (al massimo solo sporadici casi provocati da un contatto molto ravvicinato)
Compito della comunicazione è di completare e perfezionare la pianificazione sulla base di quello che sta emergendo ed avviare una attività di comunicazione per far conoscere i rischi potenziali e reali.
Fase 4 – Piccoli cluster epidemici, con una limitata trasmissione del virus da uomo a uomo. La diffusione è localizzata perché il virus non si è ancora adattato bene alla specie umana. È stata verificata la possibilità di una trasmissione da uomo a uomo di un virus animale in grado di poter far insorgere focolai epidemici.
Compito della comunicazione è di promuovere attraverso una attività di comunicazione le raccomandazioni e le azioni da compiere per prevenire e ridurre il rischio presso la popolazione e per i singoli individui.
Fase 5 – Grandi cluster epidemici, ma la trasmissione da persona a persona è ancora localizzata e circoscritta a singoli paesi: il virus inizia ad adattarsi meglio alla specie umana (rischio pandemico sostanziale)
Periodo pandemico
Fase 6 – Pandemia: Oltre ai criteri definiti nella Fase 5, lo stesso virus ha causato focolai prolungati in più paesi e si trasmette in tutta la popolazione
Compito della comunicazione è continuare a fornire con tutti i mezzi a disposizione gli aggiornamenti sullo stato della pandemia e sulle misure sanitarie e sociali utili a mitigare il rischio.
Periodo post-picco – I livelli di influenza pandemica, nella maggior parte dei Paesi con sorveglianza adeguata, sono scesi.
Compito della comunicazione è di aggiornare regolarmente il pubblico e gli altri stakeholder su ogni eventuale cambiamento dello stato della pandemia.
Periodo post-pandemico – I livelli di attività influenzale sono tornati a quelli tipici dell’influenza stagionale nella maggior parte dei Paesi con sorveglianza adeguata.
Compito della comunicazione è di riconoscere pubblicamente i contributi di tutte le comunità; imparare dalle esperienze vissute nelle attività di comunicazione e nella pianificazione per eventuali future crisi di sanità pubblica
Anche in Italia Il Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale riconosce alla comunicazione la caratteristica di risorsa essenziale per la gestione di eventi di Sanità pubblica.
Il processo comunicativo attraversa infatti in modo trasversale le diverse fasi di gestione dell’evento sanitario (identificazione, stima, valutazione, gestione) e aumenta la sua efficacia quando l’Organizzazione ne riconosce l’importanza fin dall’inizio (nella fase di non emergenza) e predispone un Piano specifico per la sua realizzazione.
Un piano di comunicazione deve pertanto prevedere:
- la preparazione delle strutture organizzative nazionali, regionali e locali per stabilire rapporti di collaborazione tra le Istituzioni e per garantire la circolazione delle informazioni tra gli operatori impegnati sul campo (comunicazione interna) e tra tutti i soggetti sociali coinvolti con ruoli, competenze, interessi e percezioni diverse;
- la scelta di un portavoce a livello nazionale e locale;
- la costruzione di un processo comunicativo continuo sul rischio, bidirezionale, interattivo, di scambio e condivisione di informazioni e opinioni che garantisca la chiarezza, la trasparenza, la tempestività l’omogeneità e l’affidabilità dell’informazione e rafforzi la credibilità delle istituzioni (comunicazione esterna);
- la creazione di partnership con altre autorità e istituzioni presenti sul territorio nazionale e a livello internazionale, e con la società civile;
- la pianificazione di una strategia di comunicazione che preveda un utilizzo integrato dei mezzi di comunicazione scelti di volta in volta in base al target, agli obiettivi, alle risorse, al tempo, con lo scopo di favorire non solo un passaggio unidirezionale di informazioni (media, siti web, opuscoli informativi, documentazione, articoli), ma anche uno scambio bidirezionale (colloquio faccia a faccia, colloquio telefonico, numero verde);
- lo sviluppo di un rapporto di collaborazione con i media attraverso la costante e chiara comunicazione delle informazioni disponibili anche se incerte (comunicazione dell’incertezza).
In particolare, stabilisce il Piano nazionale, per quanto riguarda la comunicazione con la popolazione generale, si deve provvedere a:
- definire messaggi chiari, omogenei, condivisi a livello nazionale e locale, elaborati sulla base della percezione collettiva del rischio;
- consolidare i rapporti con mezzi di comunicazione di massa a tutti i livelli;
- preparare materiale informativo ad hoc destinato e utilizzabile da soggetti diversi, comunicatori, portavoce organizzativi, la preparazione di comunicati ad uso dei media;
- attivare canali comunicativi con il pubblico attraverso mezzi di comunicazione unidirezionali (siti web, posta elettronica) e mezzi bidirezionali (linee telefoniche dedicate, comunicazione vis a vis tra cittadino e operatori in spazi e tempi differenziati);
- predisporre conferenze audio e/o video tra le strutture nodali a livello centrale e a livello locale.
Le ripercussioni sociali
La necessità di prepararsi a fare una corretta comunicazione in caso di una emergenza pandemica su scala nazionale con risorse e competenze sufficienti è una opinione condivisa a diversi livelli. Gli effetti di una pandemia non sarebbero limitati alle realtà sanitarie, ma anche le infrastrutture e la fornitura di servizi essenziali per la popolazione e l’organizzazione di uno Stato potrebbero subire dei rallentamenti o collassare anche per lunghi periodi non riuscendo più a essere in grado di fornire risposte efficaci.
Nella nostra società, tecnologie, servizi e comunicazioni sono fortemente interconnessi, ogni settore è interessato. Gli impatti potenziali possono includere i trasporti, le limitazioni di movimento, la frequentazione e l’apertura di luoghi pubblici. Possono verificarsi significative difficoltà nei settori commerciali e le chiusure dei confini nazionali. Ci potrebbero essere anche delle difficoltà nel reperimento delle materie prime e nel corretto funzionamento dei mercati internazionali. In quanto tale, la preparazione all’epidemia pandemica deve essere considerata come una preparazione di salvaguardia generale dell’organizzazione e funzionalità dello Stato, e la comunicazione deve svolgere un ruolo strategico in ogni fase della risposta.
Ogni settore della società avrà bisogno di un piano discendente e la necessità di correlarsi e non entrare in distonia con le altre fonti di comunicazione istituzionale. Una comunicazione chiara e coordinata, capace di veicolare messaggi precisi, redatti in chiave strategica, efficaci, e che riescano a raggiungere tutti i segmenti della popolazione utilizzando di tutti i canali informativi e gli strumenti tecnici per la trasmissione di questi messaggi. Ciò fornirà opzioni e capacità per svolgere in modo sostenibile una gestione strategica attraverso tutte le fasi si una crisi pandemica dall’inizio alla fine.
Ferruccio di Paolo Communication specialist NATO Civil Emergency Planning Expert in Technical matters on Crisis communication |
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https://crh.arizona.edu/about/strategic-plan