di Mario Boffo, 8 luglio 2020
Anche nel 1570-1571 le potenze europee erano profondamente divise di fronte alla minaccia ottomana: la Spagna pensava soprattutto a difendere la Tunisia da poco sottomessa, guardava all’Atlantico e sognava di occupare la Britannia; Venezia, che non era riuscita a difendere Cipro, combatteva il Sultano per frenarne l’espansione ma non voleva combatterlo troppo per non danneggiare i fiorenti commerci che intratteneva con i domini turchi; il Papa difendeva la cristianità, ma aveva soprattutto a cuore la stessa sopravvivenza della Chiesa e la sua relativa centralità in Europa; la Francia era addirittura alleata con l’Impero Ottomano. Pur divise, comunque, le potenze europee s’impegnarono nella campagna di Lepanto, la quale non fu certo un disastro per la Turchia (aveva preso Cipro, riuscì rapidamente a ricostruire la flotta e dopo un secolo poté per la seconda volta assediare Vienna), ma certo frenò quell’impulso che aveva fatto temere addirittura l’attacco militare all’Italia e alla Spagna. Perché adesso la Turchia sembra poter spadroneggiare nel Mediterraneo senza che nessuna reazione si profili all’orizzonte? Le motivazioni individuali e collettive dei vari stati e delle varie alleanze sono molteplici.
NATO. Un tempo non sarebbe stato verosimile, nonostante le tradizionali contrapposizioni greco-turche su ogni questione, che uno degli alleati prendesse iniziative autonome così consistenti e facesse “giri di valzer” (ma forse qualcosa più di un ballo) con gli avversari dell’Alleanza. Oggi Ankara può permettersi di trattare l’acquisto di aerei russi da combattimento, di trattare autonomamente con Mosca sulla Siria e di fare accordi con la Cina e con l’Iran. Questo avviene per due motivi. Il primo è che gli Stati Uniti non considerano più il Mediterraneo come luogo centrale dei propri interessi, e per quanto ancora possa attrarre la loro attenzione, vedono l’attivismo turco come meno pericoloso rispetto a una potenziale proiezione russa nella regione. Questa situazione forse potrebbe cambiare in futuro (per esempio nell’improbabile ipotesi che la Turchia riuscisse a insediarsi del tutto sull’intera Libia strizzando l’occhio a Mosca e a Pechino e minacciando su vari piani gli alleati americani del Golfo), ma per ora sembra che un consistente ritorno geopolitico degli USA nel Mediterraneo non sia alle viste. Il secondo motivo è che la NATO soffre anch’essa della confusione dei tempi. Da poderoso bastione antisovietico si trasformò in organizzazione non solo di difesa ma anche di sicurezza e stabilizzazione, svolgendo un ruolo cruciale nei Balcani. Successivamente l’eccessivo allargamento e il relativo disinteresse di Washington, che non vede più l’Alleanza come strumento primario e insostituibile della propria proiezione nel mondo, ne hanno avviato un declino che potrebbe essere definitivo.
Unione Europea. L’Unione, nonostante la PESD e i vari tentativi di migliorarla e di costruire un credibile strumento di sicurezza e difesa, non ha, almeno per ora, anima militare. Venuto meno l’afflato iniziale di una progressiva integrazione che avrebbe dovuto portare a una vera unificazione, l’Unione è tale, nei fatti, solo sul piano mercantile (mercato comune). Per il resto è vittima di regole economiche obsolete e ingestibili, se non con gravi squilibri, è divisa fra i vari membri sul piano della politica estera e della difesa, è condizionata dalla feroce concorrenza interna sul piano geopolitico e geo-economico. Il rifiuto di inglobare la Turchia nell’Unione (rifiuto che aveva anche ragioni importanti) fu svolto senza alcuna riflessione sulle conseguenze (l’attuale spirito di rivalsa di Ankara), perché l’Europa non è capace di una riflessione strategica condivisa.
Gli Stati Europei. Gli stati nazionali europei, nonostante le avvisaglie che si sono succedute negli ultimi anni, appaiono spiazzati e disorientati dall’arroganza neo-ottomana, che si è confermata e sostanziata anche nella trasformazione di Santa Sofia in moschea; atto che deve essere ritenuto una vera e propria sfida storica all’Europa, visto anche che nella cerimonia dell’inaugurazione è stata ostentata la spada dell’Islam. La Francia, che in Libia sostiene Haftar, ha visto ridimensionarsi drasticamente le proprie speranze di poter controllare lo “scatolone di sabbia”. Ora cerca di reagire di sponda, andando a Beirut, dopo l’esplosione al porto, a dettare le condizioni degli aiuti e forse di un auspicato neo-protettorato di fatto. L’Italia, travolta a suo tempo dall’azione internazionale contro Gheddafi, azione che non avrebbe voluto, che contrastava ferocemente con i suoi interessi, e alla quale fu costretta ad aderire per evitare i bombardamenti dei giacimenti in concessione all’ENI apertamente minacciati dagli “alleati”, è stata in seguito sopraffatta anche dall’aiuto turco ad Al Serraj, che pure ha sostenuto sin dall’inizio nel conflitto contro Haftar. La differenza fra l’Italia e la Turchia è stata che il sostegno italiano era espresso a parole, mentre quello turco si esprime militarmente, politicamente ed economicamente.
Che prospettive per l’Italia. Avendo perso da tempo la capacità di politica estera autonoma (e forse anche la comprensione della sua necessità), l’Italia può solo affidarsi, per non perdere del tutto ruolo politico, economico ed energetico nella regione, alla buona sorte, all’amicizia o presunta tale con questo e con quello, alla non esaltante capacità di accodarsi ad altrui interessi per non precipitare. Svolge visite ministeriali in Libia per accordi sui migranti e per accordi di difesa; tratta con la Tunisia la restituzione dei profughi sbarcati sulle nostre sponde; vende importanti apparati militari (privandone, fra l’altro, le proprie forze armate) all’Egitto, che pure è nostro avversario in Libia, perché sostiene Haftar; si svincola dall’accordo per il viadotto East-Med per non turbare la Turchia… In tutto questo, diciamo pure che vi è un’“intelligenza del debole”, che, incapace di concepire o addirittura di imporre le ragioni della potenza (che pure abbiamo e che potremmo usare in modo prudente e circostanziale), si ingegna affinché dal banchetto dei forti si possa guadagnare qualche briciola. Gli eventi degli ultimi decenni hanno reso l’Italia un paese chiuso nei propri confini e privo di un intorno strategico, cioè dell’influenza su paesi vicini che prima avevamo (Balcani, Libia, altri paesi del Nordafrica). Il che ci priva, sul piano geopolitico, della possibilità di proiettare i nostri interessi a valere da territori limitrofi (uso il termine “territorio” anche in più ampio senso geopolitico, strategico, economico, e così via). Questa situazione ci rende attaccabili direttamente entro i nostri confini (territoriali, economici, geopolitici, sociali), senza alcuna possibilità, per così dire, di difesa esterna (su questo vedasi anche: D. Fabbri, Così l’Italia ha perso il suo estero vicino, Limes, luglio 2020, p. 79).
I ricorsi storici. Ho aperto quest’articolo con la Storia, e con la Storia lo chiudo. All’epoca di Lepanto l’Italia era un territorio diviso, occupato, sottomesso e condizionato dalle potenze europee. Almeno allora eravamo un faro culturale per il mondo, faro che ancora potremmo avere adesso ma che non siamo capaci di accendere. Allora il sentire italiano era caratterizzato dall’atteggiamento “Franza o Spagna, basta che se magna”. Speriamo di non dover inaugurare l’era del “con l’Egitto, la Turchia e la Francia, mi metto solo a posto con la pancia”. Se non altro, perché i fattori geopolitici hanno una grande influenza anche sull’economia e sul benessere dei popoli.
Mario Boffo