Un futuro diviso tra il “mondo dei balocchi” ed il “mondo delle pene”
di Angelo De Giuli
Novembre 2020: sei mesi sono trascorsi dal culmine della pandemia scatenata dal virus Covid 19 che obbligò l’Europa intera e gran parte del mondo a decretare lo stato di emergenza sanitaria con conseguente confinamento in casa della popolazione. Sei mesi durante i quali si è preso coscienza sia dei danni conseguenti alla pandemia sia della debolezza dell’attuale sistema economico e sociale. Un’economia che non (ri)conosce confini nazionali, che prospera solo se funzionano le interconnessioni tra tutte le nazioni del pianeta, un’economia che da febbraio 2020 è andata in fibrillazione e nei tre mesi successivi si è quasi totalmente bloccata, realizzando una distruzione di reddito mai registrata dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Una crisi economica così profonda, concretizzatasi in un brevissimo lasso di tempo, tale da minacciare la stabilità sociale e politica di tanti Stati che della Democrazia fanno la Regola di governo. Ma la crisi economica e sociale già aleggiava sul mondo sviluppato: la pandemia ha solo accelerato un processo di logoramento in atto da almeno un ventennio, determinando però la necessità di trovare nuove vie allo sviluppo economico. L’economia della Globalizzazione precedente la pandemia, era ancora in fase di riabilitazione dopo la rovinosa caduta degli anni 2007 – 2009, faticava a mantenere un passo regolare lungo il sentiero di una crescita significativa, annaspando tra mercati saturi, produzioni dai rendimenti marginali decrescenti, forte aumento dei danni derivanti dai cambiamenti climatici, diffusa instabilità politica e l’acuirsi della guerra commerciale tra Usa e Cina. Al pari dell’economia, anche la coesione sociale di numerosi Stati scricchiolava da anni, corrosa da elevati livelli di disoccupazione che la crescita economica non riusciva ad abbassare, allentata da crescenti disuguaglianze, polarizzata dalla divisiva ribalta della sedicenne Greta Thumberg la quale, forte di un vasto seguito internazionale, dai più sacri altari della politica (Assemblea dell’Onu, Parlamenti Europeo e di importanti Stati) accusa il sistema politico ed economico, assieme allo stile di vita attuali, per i danni quasi irreversibili arrecati all’ambiente. Mentre gli Stati pescavano gli ultimi soldi dal fondo del salvadanaio per fronteggiare quella pericolosa congiuntura politica e sociale, il Covid 19 ribalta il tavolo delle carte, spinge tutti i giocatori con le spalle al muro e impone un cambio delle regole del gioco. In questi ultimi sei mesi il virus ha abbattuto un totem della finanza internazionale: il debito pubblico di uno Stato può non aver più un limite parametrizzato alla produzione di reddito da parte della sua economia. Sei mesi in cui i governi di tutto il mondo hanno dovuto fronteggiare contemporaneamente due situazioni estreme: evitare ora il collasso del sistema economico e definire la strategia di sviluppo per il prossimo futuro. In continuità di pensiero con il post-crisi finanziaria del 2007-2009, le decisioni di emergenza dei governi si sono concretizzate in una spesa “a briglie sciolte” per il breve periodo (che pagheremo, e caro anche, nel prossimo futuro), e nella ricerca di un salto di efficienza che consenta un incremento del reddito prodotto dal sistema nel suo complesso. E’ in questo contesto che l’Unione Europea ha deciso l’avvio del Green Deal, il famoso piano di transizione all’economia ecosostenibile e digitale, da tradurre in realtà tramite opere finanziate con i soldi del noto Recovery Fund, L’insieme di strategia, piani e programmi che dovranno condurre ad una nuova era di maggior prosperità e benessere è racchiuso nel marchio commerciale Next Generation EU, significando in tal modo una trasformazione socio-economica i cui frutti saranno colti dalla prossima generazione. Un nobile proposito, uno slogan intrigante, che se non fosse per la contingente emergenza generale, prospetterebbe un mondo avviato alla soluzione di tutti i problemi cui si accennava poche righe sopra. Ma, in concreto, di che si tratta? Nel 2019 l’Unione Europea si è posta come obiettivo l’annullamento delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane entro il 2050 ed il risanamento ambientale, con particolare tutela della biodiversità. La via maestra per realizzare questi obiettivi si lascerà alle spalle la produzione di energia da fonti fossili (petrolio, carbone e gas) per traghettarci nell’era della generazione di energia da fonti rinnovabili (vento, sole, acqua, idrogeno, biomasse, geotermia ed altro), con l’aiuto di tecnologie ad impatto ambientale nullo (nuovi materiali per l’edilizia, superconduttori, eccetera). Il Recovery Fund è lo strumento finanziario con cui dare corpo agli investimenti per la produzione di energia “pulita”, per i trasporti ecosostenibili ed intelligenti, per l’auto elettrica a guida autonoma, per infrastrutture e reti di telecomunicazione 5G, per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione ed altri ancora. Le tecnologie necessarie a tutto ciò già esistono, ma la loro diffusione su larga scala è ancora troppo costosa. Il Covid 19 ha creato la condizione ideale affinché politica, economia, finanza, aspettative dei cittadini, confluiscano tutte in una comunicazione omologata che prospetta l’imminente realizzazione del sogno di una tecnologia che apre a tutta l’umanità (proprio a tutte le persone!) le porte di un futuro più ricco di servizi, più salubre, dove le persone saranno affrancate da “pesanti” incombenze … insomma: ci aspetta una avveniristica vita più confortevole e agiata! Ed è vero: potenzialmente tra tre, cinque anni ciò che oggi è limitato a pochi settori, oppure è in forma di prototipo, sarà di larga diffusione ed alla portata di tanti consumatori. Automobili elettriche a guida autonoma, treni aerei e navi senza equipaggio, telemedicina, lavoro e didattica a distanza, trasmissione ultraveloce di volumi quasi illimitati di dati, robot ed intelligenza artificiale capaci di leggere, scrivere, apprendere e competere con la mente dell’Uomo: tutto questo già esiste, ma è confinato in ambiti ancora molto limitati rispetto alle esigenze dell’economia contemporanea ed ai suoi problemi strutturali. Ecco dunque un’altra prova dell’eccezionale inventiva della comunicazione politica globalizzata: per combattere il cambiamento climatico (fattore negativo di cui la grande maggioranza della cittadinanza avverte l’incombenza) la politica Europea finanzia (si legga: rimozione dei limiti al livello del debito pubblico statale) la rivoluzione tecnologica che condurrà ad una economia sostenibile (forse), in grado di garantire maggior lavoro ai cittadini europei (auspicabile, ma già ora si assiste ad una distruzione di posti a causa della tecnologia) per una società più equilibrata, prospera e sicura. Ebbene, questo è il punto fondamentale della strategia per lo sviluppo futuro: comunicare la speranza di una splendida alternativa al lento declino in corso da anni, sollecitando le aspettative, il desiderio dei cittadini-consumatori di disporre, con un click di mouse od una pigiata di dito sullo smartphone, di una inimmaginabile quantità di servizi e comodità, e contemporaneamente prospettando la soluzione della “disoccupazione crescente” grazie a nuove figure professionali, operatori del click e specialisti che trattano dati per altri tipi di compositori di dati ad uso dei consumatori, i quali con un “comando” attiveranno robot ed intelligenze artificiali erogatori di comodi ed indispensabili servizi. Il tutto basato su una richiesta in crescita esponenziale di energia “verde” e sulla trasformazione in digitale di tutte le attività “analogiche” che impiegano mezzi fisici di trasmissione dati tipo carta, fax, pellicole, compact disk, chiavette usb … . L’Unione Europea ha deciso di sfruttare l’attuale crisi per cogliere le elettrizzanti opportunità che la tecnologia consentirà di godere nel prossimo futuro. Una prospettiva talmente coinvolgente che per una volta tutti insieme politici, economisti e professionisti dell’informazione cantano all’unisono le lodi del “miracolo” (ancora da realizzarsi!) del Recovery Fund. Prospettive, aspettative, consumi: come ha insegnato Keynes un secolo fa circa, esse sono il motore dell’economia di mercato di tipo capitalistico. Siamo ai nastri di partenza di un’attesa “rivoluzione” che cambierà l’aspetto delle nostre case, delle città, i ritmi e le abitudini delle nostre vite, le modalità di interazione personale e l’aspetto dei vari gadget elettronici, ma non modificherà minimamente il modello economico di sviluppo, così come già segnalato nell’articolo http://www.omeganews.info/?p=4497. Dunque, con i 750 miliardi di Euro del Recovery Fund, il nuovo debito comunitario, l’Unione Europea ha trovato la soluzione definitiva per lenire le nostre angosce per il futuro? Diciamo pure di sì, se accettassimo di omologare il nostro pensiero alla comunicazione imperante. Forti dell’esperienza storica di roboanti proclami di magiche innovazioni che con dolo hanno nascosto i numerosi danni arrecati a tante persone, anche in questo caso non è opportuno annullarci nel ruolo di anonimi claqueur, ma dobbiamo alzare lo sguardo oltre i confini logici delineati dal progetto Next Generation EU. Ciò sta a significare che, ad una più approfondita riflessione, la comunicazione non appare esaustiva della portata del progetto. Questa rivoluzione tecnologica porterà vantaggi ambientali ed economici alle popolazioni europee, secondo gli obiettivi posti dalla UE: ma con questo è tutto definito? Abbiamo trovato una soluzione sistemica effettivamente valida per il benessere della prossima generazione? Ampliando il contesto della riflessione oltre le frontiere dell’Unione Europea, emerge evidente la mancanza di strategie inerenti parti fondamentali per la sostenibilità e la coerenza generale dell’impianto Next Generation EU. In questa occasione non ci addentreremo in disquisizioni economiche, anche perché non sono ancora stati ufficializzati i progetti dei vari Stati, né i termini di un loro coordinamento a livello comunitario. Si pone invece, a mio avviso, una questione di filiera produttiva dei componenti tecnologici necessari alla realizzazione di questa transizione, i pezzi fisici dell’infrastruttura dalla quale dipenderà completamente lo sviluppo europeo in versione Green Deal. Sia la produzione di energia “verde” sia l’insieme degli apparati tecnici oggetto dei futuri investimenti necessitano di metalli rari, che attualmente sono prodotti in poche aree del globo, tra le quali però l’Europa non compare. Il primo aspetto mancante nel progetto è appunto la strategia di approvvigionamento delle materie prime essenziali al processo di innovazione. La seconda parte mancante all’appello è il capitolo dello smaltimento delle apparecchiature e delle macchine elettriche ormai disutili ma ricche di questi metalli rari ed altri componenti preziosi. Due aspetti per nulla secondari e problematici sia per l’impatto ambientale e sanitario, sia per le implicazioni internazionali. L’estrazione dei metalli rari, senza i quali non funzionerebbero né l’elettronica di consumo (tablet, smartphone, pc …), né le batterie delle auto elettriche, né molti componenti di pannelli solari, delle turbine eoliche e di tanti altri impianti, negli anni ’90 è stata volutamente delocalizzata in Paesi con minor sensibilità ambientale e bisognosi di denaro: tra questi, la Cina è stata la destinazione preferita [1]. La transizione energetica dal petrolio alle fonti rinnovabili comporta una progressiva e crescente elettrificazione della società e, conseguentemente, di un aumento dell’importanza dei metalli rari. In questo scenario il neodimio, ed esempio, è indispensabile per la costruzione dei magneti presenti in tutti i tipi di motori elettrici, robot e dischi rigidi. Lo sviluppo elettrico-digitale dell’economia prospetta una massiccia e capillare diffusione di sistemi elettronici e video (da pochi mesi addirittura è in commercio uno spazzolino da denti elettrico con un display che si illumina all’accensione e ti accoglie con la scritta “good morning”) e di conseguenza tutti i metalli rari assurgeranno al rango di “essenziali” [2]. Minerali talmente importanti che il 30 settembre 2020 il Presidente degli Stati Uniti ha firmato un Executive Order con cui ha dichiarato l’emergenza nazionale per i metalli rari [3]. Ma non è un caso se dagli anni ’80 del secolo scorso la Cina sia diventato il principale produttore di questi metalli. In Europa, per guardare in casa nostra, la necessità di tali materiali da parte dell’industria elettronica, aerospaziale, farmaceutica, era allora ancora contenuta, mentre i costi di produzione ed ambientali risultavano proibitivi. Ma se i costi di produzione avrebbero potuto essere ridotti con sussidi statali, la distruzione ambientale non aveva (e non ha) rimedio. La soluzione fu delocalizzare l’attività estrattiva dai Paesi Sviluppati a quelli in Via di Sviluppo. Così oggi più del 70% della produzione mondiale di tali preziosità è realizzata in Cina. Il motivo di questa completa delocalizzazione, causa del predominio cinese nel settore, si evince dal concreto esempio delle miniere di Bayan Obo (Cina) e di Mountain Pass (USA).
L’attività mineraria principale è per l’estrazione del ferro, ma i residui rocciosi vengono ulteriormente sminuzzati, trattati con agenti chimici altamente tossici. Un processo che produce anche residui radioattivi. Presso il lago di Baotou si è sviluppata una metropoli di 2 milioni di abitanti, la cui economia gravita intorno alla miniera e dove si riscontrano gravi anomalie sanitarie ed ambientali. Gli articoli seguenti offrono un dettaglio desolante della realtà di Bayan Obo.
Verde sì, ma non per tuttihttps://it.euronews.com/2019/08/19/terre-rare-e-inquinamento-chi-paga-il-prezzo-ambientale-per-la-produzione-di-auto-elettric
La miniera di Mountain Pass (San Bernardino County, California, US), da dove si ricava principalmente Cerio, Neodimio, Lantanio. Le Autorità sanitarie hanno ivi riscontrato elevati livelli di radioattività, ma la corsa al nuovo oro non si ferma. https://en.wikipedia.org/wiki/Mountain_Pass_mine Interessante anche il seguente articolo: https://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/metalli-rari-il-costo-nascosto-della-transizione-ecologica/
Nel Next Generation EU non si fa riferimento ad una precisa strategia di approvvigionamento di questi metalli, anche se in Europa non mancano significativi giacimenti da sfruttare. In Italia, ad esempio, vi sono ricchissimi giacimenti di alcuni metalli rari in Toscana ed in Liguria (https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-12-11/sorpresa-italia-piu-grandi-giacimenti-terre-rare-130206.shtml?uuid=AB2XiOj&refresh_ce=1). La spiegazione della non definizione di questo punto nei documenti ufficiali è semplice: chi se la sente di dire agli europei che si dovranno sventrare ed inquinare ampie zone in Italia, Spagna, Francia, Grecia, nazioni che della bellezza e salubrità dei loro territori fanno un punto di forza dell’industria turistica? Con la densità di popolazione esistente in Europa, una sola simile miniera sarebbe sempre troppo vicina a popolose aree abitate od a zone di interesse turistico ed ambientale: sarebbe immaginabile una tale fonte di esalazioni chimiche e radioattive sul territorio toscano, ligure o sardo? Magari a 50km da Milano, Genova, Roma o Siena? L’approvvigionamento rimane dunque soggetto a due complesse problematiche che non risultano, ad oggi, analizzate e inquadrate in una chiara strategia discussa negli organi istituzionali preposti (Parlamenti e relative Commissioni) e, di conseguenza, non accessibile alla pubblica opinione: l’attuale dipendenza dai volumi produttivi e dalla politica di esportazione cinese, la prima; dove e come produrre le materie prime vitali per conseguire le finalità del Green Deal e del Next Generation EU, la seconda. L’altro settore escluso dalla pianificazione attuativa della transizione energetica in questione è quello riguardante la raccolta e lo smaltimento dei materiali, apparecchi e impianti dismessi. Già dal 2010 la UE ha emanato una direttiva comunitaria specifica per il trattamento dei rifiuti elettronici, e l’Italia, per citare un esempio, l’ha recepita con il Decreto RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) [4]. La tipologia di prodotti normata da questo decreto è ampia, ma comparata con quanto previsto nel piano di transizione energetica e di digitalizzazione capillare, essa appare chiaramente non sufficiente a garantire un processo di “sostituzione tecnologica” che sia sostenibile sotto i profili economico ed ambientale. Immaginiamo di suddividere i prossimi 10 anni in due periodi temporali: dal 2021 al 2023 e dal 2024 al 2031. Cosa si può ragionevolmente prevedere oggi, sulla base anche degli incentivi statali e delle mosse finanziarie dei giganti dei settori energia ed hi tech? La realizzazione di infrastrutture 5G comporta l’installazione di un nuovo tipo di antenne e loro corredo impiantistico oltre all’utilizzo di cellulari in grado di supportare tale tecnologia, il che si traduce in una sostituzione di smartphone e impianti di trasmissione esistenti che accelererà già a partire dal 2021 (la costruzione della rete 5G è già iniziata con la copertura delle maggiori città europee, e gli smartphone 5G sono in commercio da alcuni mesi. Le automobili elettriche, per le quali gli incentivi all’acquisto si stanno irrobustendo di anno in anno, rappresentano già quasi l’8% del mercato automobilistico europeo. Nei prossimi tre anni l’auto elettrica accelererà il processo di sostituzione dei modelli con motore a scoppio, mentre tra il 2025 ed il 2030 inizierà la commercializzazione su larga scala delle vetture a guida autonoma. La richiesta di litio per le loro batterie aumenterà esponenzialmente. Da qualche anno si stanno accatastando i primi pannelli solari installati e le componenti elettroniche ed elettromeccaniche degli impianti eolici giunti a fine vita tecnica (stimata tra i 20 e 30 anni per i pannelli solari, e di 25 anni circa per gli impianti eolici). Sono solo alcuni esempi di sostituzione tecnologica, ma già questi possono offrirci l’idea di quale mole di rifiuti tecnologici da gestire e smaltire si prospetti per il prossimo futuro. L’impatto sulla qualità e salubrità del nostro ambiente è potenzialmente disastroso: i rifiuti tecnologici non sono biodegradabili, contengono elementi chimici e metalli altamente tossici ed inquinanti sia per l’aria che per il suolo e l’acqua. Si può dunque assumere per certo un enorme aumento dei rifiuti RAEE, per i quali già non funziona correttamente il sistema di smaltimento legale a causa degli elevati costi per il trattamento corretto degli oggetti di scarto. Un esempio di questo malfunzionamento sono i sequestri eseguiti dalla Guardia di Finanza e le indagini dei Carabinieri del NOE in contrasto al mercato internazionale illegale di pannelli solari obsoleti, le inchieste giornalistiche in Africa, dove questi scarti del nostro progresso sono distrutti con martello, incudine e fuoco, ed alimentano un ampio mercato nero di oro e cobalto, oltre a quello di persone sfruttate ed esposte a gravi malattie.
Aree di smaltimento dei RAEE in Congo: molte persone guadagnano 4 o 5 Euro al giorno recuperando oro e cobalto da questi cimiteri della tecnologia
Come accennato in precedenza e per completezza del quadro d’insieme, è fondamentale considerare i rifiuti RAEE assieme a quelli derivanti dalla produzione di metalli rari: tutti questi tipi di “scorie” sono frutto della filiera dell’energia verde e della digitalizzazione delle nostre vite. Approvvigionamento e smaltimento, inquinamento e sfruttamento delle risorse naturali: essi sono il vero problema del Green Deal, di cui l’Unione Europea ha piena contezza, e per affrontare i quali ha approntato delle linee guida d’azione. Esse sono definite nel “Piano di azione europeo sulle materie prime”, documento che indica la via per affrancare la UE dalla dipendenza da Paesi stranieri secondo due direttrici: sviluppo dell’attività estrattiva domestica (si legga: apertura di nuove miniere sul suolo europeo), definizione di accordi commerciali con gli attuali produttori (principalmente: Cina, Cile, Brasile, Australia), subordinandoli ai vincoli del rispetto dei diritti umani, dei lavoratori e dell’ambiente. Ma di questa strategia poco o nulla trapela dalla comunicazione ufficiale. Sì, perché entro il 2025 saranno già operativi diversi “progetti di estrazione” [5]. Infatti, i due pilastri portanti di tutto il piano di sviluppo del Green Deal, lo smaltimento dei rifiuti tecnologici tramite l’economia circolare e la produzione di metalli rari, presentano criticità importanti, affrontate nel documento citato con la generica formula “… [sviluppo] da intraprendere finanziando la ricerca di tecnologie ecosostenibili …”. Ossia: non abbiamo la tecnologia pulita auspicata ma iniziamo ugualmente ad estrarre ed a recuperare gli scarti; la ricerca troverà sicuramente le soluzioni negli anni. Un pericoloso scenario si profila all’orizzonte: la popolazione europea non vuole questo tipo di attività e conseguente inquinamento, non sotto le sue finestre almeno [6]. La contrarietà popolare alle miniere e ad ogni forma di deterioramento dell’ambiente vicino ad essa, a breve riproporrà alla politica le già sperimentate sindromi di Nimby e Nimto: Not In My Back Yard (non nel mio cortile) intima il cittadino, e Not In My Terms of Office (non durante il mio mandato) promette la politica [7]. L’accurata omissione comunicativa delle informazioni inerenti questi due settori della filiera Green Deal avrà per forza di cose conseguenze di difficile gestione. I cittadini europei pretenderanno i vantaggi promessi con l’economia circolare ed il Next Generation EU, perché questi gli sono stati promessi e comunicati come contropartita del nuovo debito da 750 miliardi di Euro, ma non accetteranno i costi economici ed ambientali dei rottami elettronici, perché di questo né sono stati informati né sono stati coinvolti nella determinazione delle decisioni. Sarà questo il punto cruciale per il futuro equilibrio geopolitico, la crepa sociale attraverso la quale l’Omologazione del pensiero economico e sociale si rigenererà più robusta di quanto sia oggi. Sentiremo urlare ancora più forte il mantra di questi decenni: il vantaggio per il cittadino-consumatore è garantito solo da una finanza libera, senza confini, l’unica in grado di allocare le risorse là dove vi è più efficienza produttiva. Tradotto in termini popolari, la legge che prevarrà sarà: occhio non vede, coscienza non duole! Nulla si discosterà da quanto fino ad ora prodotto dalle sindromi Nimby e Nimto (il rifiuto di sopportare gli aspetti negativi del proprio benessere, da cui l’esportazione dei disagi verso i “cortili d’altri”) se Next Generation EU non sarà governato dalla Politica autentica, quella capace di equilibrare costi e benefici di scelte condivise. Ma le premesse non fanno ben sperare: già si intravvede un futuro diviso tra il “mondo dei balocchi” ed il “mondo delle pene”. Le logiche del libero mercato globale spingono alla formazione di aree di specializzazione, individuate dalla conveniente combinazione di risorse naturali, basso costo del lavoro, lasche legislazioni ambientali e sindacali. La globalizzazione economica e l’omologazione di mercati e società di questa combinazione si sono nutrite, e questo riproporranno per trarre vantaggio dalla ritrosia dei cittadini a vivere vicino a miniere e impianti di smaltimento, nascondendo ciò dietro la classica motivazione della non sostenibilità dei costi in terra domestica. L’obiettivo europeo di non dipendere mortalmente dalla Cina e pochi altri per le forniture di metalli rari sarà perseguito con la differenziazione delle aree geografiche di approvvigionamento: l’Europa in primis guarderà all’Africa ed a seguire al Sud America ed al Sud Est Asiatico. Sarà una novità geoeconomica? Non proprio, perché le mappe mondiali dei maggiori giacimenti di molti metalli rari, di luoghi di destinazione dei rifiuti RAEE, di terre asservite ad enormi impianti eolici e fotovoltaici già indicano la concentrazione di queste attività negli Stati africani ed nei Paesi in Via di Sviluppo.
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I maggiori giacimenti di terre rare nei continenti: Africa, Asia, Oceania, Europa. Fonte: https://www.dday.it/redazione/30986/terre-rare-cina-huawei Nell’articolo anche un’interessante tabella riepilogativa dei 17 metalli rari e relativi settori di impiego
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Le aree pattumiera nel mondo, destinatarie dei rifiuti elettronici ed elettromeccanici smaltiti illegalmente, sono chiaramente individuate dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle Attività Illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlate, ufficializzata nel 2018 [8]. Da quanto appurato dalla Commissione e da varie inchieste giornalistiche, il 70% circa dei rifiuti RAEE prodotti in Europa giunge illegalmente in Africa Occidentale (principalmente in Ghana e Nigeria), in Cina, ad Hong Kong, in Pakistan, in India ed in Vietnam. Sovrapponendo le mappe dei giacimenti di metalli rari alle aree destinatarie dei rottami tecnologici oggetto di traffici illegali (*) si può riscontrare una ampia sovrapposizione: tutta l’Africa, parte della Cina ed il Sud Est Asiatico sono le aree che stanno sopportando i danni ambientali e lo sfruttamento umano direttamente correlati sia alle attività di estrazione e trasformazione mineraria sia all’accumulo e smaltimento dei rifiuti RAEE. (*)
In realtà il termine illegale a volte non è appropriato. L’Unione Europea ha, per esempio, allentato i controlli sull’esportazione di rifiuti RAEE prevedendone la possibilità qualora i rifiuti fossero riparabili e l’esportazione fosse giustificata da necessità di manutenzione tecnica. E’ chiara la facile conseguenza di questa concessione …
L’implementazione del Green Deal moltiplicherà la pressione su queste aree: già da un decennio la richiesta di metalli rari cresce in media del 3% annuo, mentre i volumi di scarti tecnologici aumenteranno vertiginosamente, soprattutto nei prossimi dieci anni per effetto dell’accelerare della sostituzione tecnologica. Dunque si può prevedere che la geoeconomia non subirà grandi evoluzioni rispetto all’attuale situazione, fondando questa asserzione sulle considerazioni precedenti riguardanti la difficoltà politica a far accettare alla popolazione europea i negativi impatti ambientali delle attività produttive di metalli rari, la logistica dei risultanti residui chimici e radioattivi, e lo smaltimento degli apparati obsoleti. Al fattore sociale si aggiungano gli elevati costi di questi processi: tutto insieme comporterà il mantenimento dello status quo geoeconomico. L’impatto del Next Generation EU sarà principalmente geopolitico. Il progressivo sviluppo tecnologico dell’energia da fonti rinnovabili e della sua domanda, connessi anche alla trasformazione digitale del sistema economico, come già scritto, comporterà la necessità di apertura di nuove miniere e l’ampliamento delle aree di ammasso e smaltimento di RAEE, con la conseguenza di rendere inabitabili aree sempre più vaste ed importanti del pianeta, soprattutto in Africa e nel Sud Est Asiatico. Di queste tendenze vi è evidenza nei vari canali di informazioni, sebbene si limitino ad uno specifico tema a sé stante: pregevoli inchieste giornalistiche e di Commissioni varie approfondiscono gli aspetti economici, ambientali e sociali o della produzione dei metalli rari o dello smaltimento dei rifiuti tecnologici. Ciò è comprensibile, avendo questi lavori un intento informativo teso a smuovere le coscienze (senza grande successo, a dire il vero) in merito ai “danni collaterali” che il nostro consumo di tecnologia pone in capo ad altri popoli. Ma che l’Unione Europea, per mezzo delle sue Istituzioni ed i Parlamenti degli Stati membri, non sviluppi un dibattito politico su questi temi fondamentali per tutto l’impianto del progetto Next Generation EU, non interpelli le coscienze dei suoi cittadini per definire una condivisa e consapevole linea politica, ecco, tutto questo suona alquanto stonato. Stona soprattutto il fatto che nello stesso documento ufficiale di presentazione del Next Generation EU non si tratti in maniera unitaria l’intera filiera del nostro sviluppo futuro, quasi che approvvigionamento e smaltimento siano problemi la cui soluzione è già scritta, definita, da implementare semplicemente quando sarà necessario. Una stonatura che solo una politica ridotta a strumento suonato dall’economia può produrre! Alla politica europea, alle politiche nazionali, manca l’estensione vocale necessaria ad intonare le vibranti tonalità del rispetto dei diritti umani e della sostenibilità ambientale anche quando questi riguardino territori e popoli oltre i propri confini. Tant’è che la “mano economica” autrice dello spartito finanziario del Next Generation EU ha volutamente omesso le note (dolenti) dei capitali necessari per garantire anche in Africa, nel Sud Est Asiatico ed in America Latina il rispetto di quei nobili diritti di cui essa, l’Unione Europea, si erge a paladina nel mondo. Invece, non è previsto alcun investimento per queste tutele! Una stonatura resa impercettibile all’orecchio del cittadino dal magnifico canto della comunicazione economica, la quale, narrando appunto di un futuro ricco di servizi degni dei migliori film di fantascienza, omologa il messaggio prevalente con l’evidente obiettivo di creare un consenso generalizzato a supporto dell’unica via percorribile da questo sistema economico per sopravvivere a se stesso. I problemi di approvvigionamento e smaltimento saranno lasciati in sospeso fino al loro trasformarsi in emergenza; una situazione da manuale frutto delle sindromi Nimby e conseguente Nimto. L’Omologazione del comportamento economico e delle coscienze sceglie, in questo modo, di correre rischi dalle enormi conseguenze nel prossimo futuro. In primis, la semplice diversificazione delle aree geografiche e dei fornitori per gli approvvigionamenti delle materie prime di base, per ridurre il grado di dipendenza da Cina e altri pochi Stati, non elimina (e neppure diminuisce) il vincolo di dipendenza da potenze straniere. La gravità del rischio consiste nella progressiva espansione dell’influenza economica, politica e militare in Africa e nel Sud Est Asiatico di potenze regionali e globali quali Russia, Cina, Turchia, Iran ed altri. Un elemento geostrategico da non sottovalutare, considerando che questi Stati sono in diretta concorrenza politica, economica e militare con i Paesi dell’Occidente. L’Europa, molto probabilmente, si dovrà rifornire da aree soggette all’influenza di Stati antagonisti. Un altro rischio, forse quello che si manifesterà in modo più evidente agli europei, deriverà dalle nefaste conseguenze del degrado ambientale e sociale che la mancata gestione di miniere, fabbriche di trasformazione e aree di smaltimento causerà alle popolazioni locali. Tutte insieme queste conseguenze, unite allo sfruttamento di molti lavoratori africani ed asiatici, creeranno condizioni tali da rendere insopportabile la vita di intere popolazioni e minare lo sviluppo economico di vaste aree. Condizioni di vita simili alla schiavitù e territori pestiferi, desolati, costringeranno un numero sempre crescente di persone a migrare altrove. E non sarà solo una evidenza remota, giornalistica, una sequenza fotografica da presentare al pubblico della civile Europa, da archiviarsi con una fugace battuta di indignazione e qualche Euro di donazione estemporanea. Non sarà neppure un problema di turbamenti della coscienza collettiva o di etica: esempi quali fame, malattie, sfruttamento del lavoro in generale e minorile in particolare, distruzione della natura in intere regioni del pianeta ed altro, non hanno smosso le coscienze fino ad ora (almeno fino a quando tali disgrazie non varcheranno le porte di casa delle stesse), ed in futuro non sarà certamente diverso. Imponenti movimenti migratori dalle aree pericolose o svantaggiate verso i Paesi ricchi, quelli sì che saranno “evidenze toccanti” per i cittadini europei: sarà allora che ci sarà la presa di coscienza dei problemi. La Politica si troverà all’improvviso a gestire non tanto l’offesa di un senso generale di umanità, di etica morale o di giustizia, quanto piuttosto l’esplosione della paura egoistica di dover condividere parte del proprio benessere. Già ora si assiste in Europa ad una crescente resistenza ed ostilità verso migliaia di migranti di vario tipo; nei prossimi anni le persone in cerca di una esistenza più sicura, o semplicemente di un minimo di agio, si moltiplicheranno progressivamente. In assenza di una Politica sufficientemente indipendente dai diktat economici ed in grado quindi di gestire tutta la filiera del Next Generation EU, lo scontro sociale e culturale (le maschere con cui sarà dissimulata la paura di rinunciare a qualche soldo in favore degli stranieri) non potrà essere evitato. Dunque, il rischio di “esportare” altrove i costi sociali ed ambientali per garantirci un altro lustro di crescita economica e di un più alto livello di “consumistico benessere” espone l’Europa a tensioni interne ed esterne tali da non essere più gestibile in coerenza con i suoi principi fondanti: la tutela dei diritti umani, il rispetto dell’ambiente, la solidarietà tra popoli e tutto il resto di cui si proclama promotrice nel mondo. Milioni di persone busseranno ai nostri confini, sospinti in un movimento migratorio concentrato in un breve lasso di tempo, provocheranno una pressione insopportabile sia sui confini fisici sia sulla coesione sociale europei. Di tutto ciò abbiamo già avvisaglie lungo il fronte tra Grecia e Turchia, lungo il perimetro ungherese, nel braccio di mare che separa Spagna e Marocco od ancora tra il Maghreb ed i confini italiani. L’Unione Europea non può permettersi di non preoccuparsi anche degli aspetti negativi del Next Generation EU, continuando ad assecondare i desiderata di una omologazione sociale basata sul “occhio non vede, coscienza non duole”, perché la next generation (i suoi figli!) potrebbe pagarne sconvenienti e gravi conseguenze. E se nulla possono smuovere l’Etica economica e politica od il senso di umanità verso le popolazioni che saranno più esposte agli effetti “secondari” del progresso, che l’Europa agisca almeno in nome dell’egoistica paura di fronteggiare ed assorbire popolazioni in movimento verso una illusoria salvezza, le quali portano con sé disperazione, aspettative ed a volte rancore nei confronti di chi prospera grazie alle loro privazioni.
Il contesto in cui nasciamo delimita l’insieme di possibilità per il nostro sviluppo, del nostro successo. Chi si ritrova in certe aree non ha nessuna prospettiva di miglioramento … si consumerà in una vita di stenti e di rancore verso tutto e tutti. Eppure tutto il progresso scientifico ed il benessere del mondo sviluppato ancora non riesce a fare a meno di tollerare il persistere di situazioni estreme, condannate se riferite al passato, dolosamente ignorate se documentate nel presente. E’ utopistico confidare nella capacità militare per mantenerci indenni da ribellioni a questi estremi contrasti: la Storia lo insegna … a chi vuole ascoltarla
Non fosse altro che per un egoistico interesse di parte (ossia: il miraggio prospettato nell’attuale versione del Next Generation EU) l’Unione Europea dovrebbe prevedere al contempo un piano di investimento per approvvigionarsi di materie prime e liberarsi delle “scorie del progresso” in modo da garantire lo sviluppo economico, l’ambiente, la salute ed i diritti umani delle popolazioni destinate ad ospitare tali attività, salvando così anche la sua identità solidaristica in coerenza ai suoi principi fondativi ed alla sua presunzione di superiorità culturale e politica. Destinare fondi comunitari per investimenti diretti in loco, finalizzati a garantire standard minimi di correttezza dei rapporti economici, avvantaggerebbe l’Unione Europea sia in termini di indipendenza dalla strategia di potenze terze nella sua politica di sviluppo sia, e soprattutto, per la conquista di un ruolo inedito e ben distinto nell’operare sulla scena internazionale. Sarebbe quindi opportuno per la Politica affrancarsi dal bisogno di rincorrere il facile consenso ed iniziare a discutere apertamente come approcciare queste problematiche strategiche, spiegando chiaramente agli europei che non liberarsi dalla sindrome di Nimby, non buttare lo sguardo oltre il proprio cortile, ha un costo importante: se non vuoi schifezze nel tuo giardino, le scarichi nella proprietà del vicino ed allo stesso tempo pretendi che egli non ti aggredisca, devi contrattare e pagare il giusto prezzo per rifonderlo dei danni che gli arrechi … ma, che sia chiaro, ciò varrà fintanto che avrai i soldi per pagare il giusto indennizzo!
Angelo De Giuli
Note. [1] https://espresso.repubblica.it/affari/2018/03/21/news/questi-17-metalli-rari-decideranno-chi-sara-il-padrone-del-mondo-1.319822 [2] https://www.linkiesta.it/2019/06/metalli-rari-tecnologia-progresso/ [3] https://formiche.net/2020/10/perche-trump-dichiara-lemergenza-nazionale-metalli-rari/ [4] https://www.menorifiuti.org/2018/10/03/raee-cosa-sono-e-come-si-smaltiscono/ [5] https://www.qualenergia.it/articoli/green-economy-e-materie-prime-rare-lue-presenta-il-suo-piano-dazione/ [6] https://europa.today.it/lavoro/miniere-europa-ambiente.html [7] https://www.focus.it/ambiente/ecologia/dalla-sindrome-nimby-al-nimto-quando-e-la-politica-a-dire-no-a-nuovi-impianti [8] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/336064.pdf (pag 19) e https://www.rinnovabili.it/ambiente/discariche-illegali-di-raee-666/