“Isole minori mediterranee e Mediterraneità”
…quasi un G 20 del Mediterraneo
OMeGA/Rotta2021: un progetto per un anniversario
8 ottobre 2021: Seminario «Piccole Isole del Mediterraneo»
Intervento di Roberto Mascilongo:
ABSTRACT
Attraverso un esame di alcuni comportamenti alimentari, si rilevano i collegamenti degli stessi con fenomeni di natura identitaria, in particolare nel contesto del Mediterraneo e le sue isole. Si evidenzia come il cibo abbia un ruolo di collegamento trasversale tra la tensione deterministica di natura fisico-geografica e una prospettiva relativistica di matrice culturale.
L’analisi del cibo e i suoi comportamenti possono rivelare degli aspetti celati che opportunamente esaminati ci rivelano degli aspetti collegati con la nostra storia e identità. Pensiamo a cosa si beve a colazione nella nostra penisola. La maggior parte della popolazione adulta consuma del caffè. Ora questo sembra un gesto assolutamente normale e quotidiano. In realtà, visto secondo l’ottica di un osservatore “antropologico”, può farci riflettere e condurre ad alcune considerazioni: quali caratteristiche e fatti storici hanno fatto sì che l’Italia sia diventata il paese in cui la cultura di questa bevanda ha trovato il suo punto di riferimento? Del resto, si tratta di una pianta che non cresce alle nostre latitudini a differenza, per esempio, del pomodoro che pur venendo dalle Americhe ha trovato un terreno fertile in ambito mediterraneo. Eppure, nonostante ciò, è il caffè è diventato uno degli elementi culturali che più ci caratterizza, al punto tale da essere diventato anche un simbolo del nostro stile di vita ed uno dei prodotti di esportazione dello stesso.
Nel linguaggio corrente, quando diciamo “ci vediamo per un caffè” è quasi un sinonimo di socialità
Del resto, fu proprio durante un viaggio in Italia ed aver fatto esperienza anche sociale, del bar italiano, che un imprenditore statunitense, Howard Schultz, trova l’ispirazione per creare quella che oggi è la più grande catena di caffè del mondo.
Partendo da quest’esempio, vediamo quali sono gli elementi che fanno sì che un cibo con le sue determinate caratteristiche alimentari diventa parte costituente di un territorio e della sua identità. Anzitutto il caffè è originario dell’altopiano etiope nella zona di Kaffa1, un regno medioevale locale da cui si pensa che abbia origine il nome della stessa bevanda ed era commercializzato soprattutto attraverso il porto di Mocha dello Yemen. Grazie anche al flusso di pellegrini diretti alla Mecca, il caffè diventa popolare in gran parte del mondo ottomano, uno dei grandi equalizzatori del Mediterraneo e del mondo antico. Se ne apprezzano la capacità di favorire l’acutezza mentale e diviene popolare tra intellettuali e non solo nelle cosiddette “scuole dei saggi”.
In Italia viene commercializzato grazie ai mercanti veneziani2 che avevano stretti rapporti con il mondo ottomano e lo diffondono nel XVI secolo. All’inizio conobbe una ricezione abbastanza fredda grazie ad una sorta di stigmatizzazione da parte della chiesa che lo vedeva come una bevanda dalle caratteristiche psicotrope che la rendevano potenzialmente pericolosa. Lo stigma era dovuto soprattutto al fatto che veniva identificata come una bevanda tipica del mondo ottomano. Alla fine, si narra che Papa Clemente VIII, dopo averlo provato, ne decretò il libero uso e ruppe le connotazioni di natura oscura che fino a quel momento avevano in parte attorniato questa bevanda.
L’Europa conosce un grande sviluppo della cultura del caffè, ma è soprattutto l’Italia, grazie ad invenzioni di natura ingegneristica che diventa davvero il leader assoluto di questa bevanda. Nel 1901 un inventore milanese, Luigi Bezzerra, sviluppa l’idea di forzare la pressurizzazione dell’acqua attraverso della polvere di caffè per produrre una versione concentrata dello stesso. Nasce così, l’espresso dove l’acqua doveva essere “espressa” attraverso il caffè. Questa bevanda anche dal nome tradisce le sue radici e influenze futuriste, grande movimento artistico italiano che in quel periodo conosce un grande sviluppo. La cultura dell’espresso diventa il nostro marchio di riconoscimento con caffè famosi o meno ma sempre popolari. Grazie anche ad una serie di inventori tra cui Francesco Illy, Achille Gaggia e Alfonso Bialetti con l’invenzione della moka da casa nel 1933, si consolida la posizione d’avanguardia del nostro paese. La stessa parola barista diventa d’uso nel ventennio in sostituzione a barman in uno slancio di protezionismo linguistico.
Attraverso questa storia, estremamente semplificata, abbiamo individuato degli elementi che al di là di un approccio vicino al determinismo geografico alla Karl Ritter3, ci permettono di evidenziare dei fattori rilevanti nella diffusione o meno di un cibo o di un’abitudine alimentare in relazione al suo ambiente socioculturale:
Essere parte diretta o indiretta di determinati flussi di comunicazione e commerciali, un fattore che permette l’utilizzo di elementi non nativi.
Ricevere un’accettazione non solo a livello popolare, ma anche politico istituzionale.
Una caratteristica che si rivela in modo evidente con la storia delle sostanze ad effetti psicotrope quali la canapa e l’alcool.
Un altro elemento a volte negletto e riportato alla luce nella “Geografia Umana” di Paul Lefebvre è il ruolo della tecnologia. L’Italia e non altri, diventa il centro di riferimento della cultura del caffè anche grazie allo sviluppo di soluzioni ingegneristiche innovative sia nella torrefazione che con l’invenzione della macchina per l’espresso. Caratteristiche che si collegano con la disponibilità di un ambiente favorevole alla creatività e all’innovazione.
IL MEDITERRANEO
Questi fattori risultano particolarmente importanti quando ci muoviamo in un ambiente particolare come il Mar Mediterraneo. Innanzitutto, va considerato che il Mare Nostrum ha sempre presentato e paradossalmente forse ancor di più nel passato, grazie all’effetto unificante dell’Impero Romano, delle caratteristiche particolari di inter connettività estrema. Si tratta di una tipicità dovuta in parte a caratteristiche di natura geografica, ovvero il suo essere un quasi lago a parte due piccole aperture di cui una artificiale e al fatto di trovarsi in una zona temperata che ha favorito lo sviluppo umano e di alcune delle più antiche civiltà a noi note.
Questo ci permette di effettuare una sorta di ribaltamento di prospettiva e di vedere il Mediterraneo come un vero e proprio continente. Maurice Aymard4 della corrente degli Annales, lo definisce come una pianura liquida intersecata da un sistema di comunicazioni.
In questo modo possiamo analizzare con una prospettiva diversa anche il concetto di isola e individuarla come una sorta di hub, un centro di influssi e di scambi relativi a un proprio posizionamento storico geografico e culturale.
Seguendo il modello che stiamo sviluppando è chiaro che non tutte le isole e non tutte le coste hanno la stessa funzione di incontro e scambio. Potremmo dire che esistono dei nodi all’interno di questo continente di importanza scalare a seconda della quantità di contatti, del loro posizionamento riguardo i flussi comunicativi e di avere al proprio interno organizzazioni sociali favorevoli alla creatività, all’innovazione e allo sviluppo tecnologico e culturale.
Il processo identitario così introdotto è una costituente della natura geografica dell’isola, ma è collegata e forse anche subordinata a degli elementi di natura antropica e culturale. Inserire la geografia all’interno di un contesto storico antropologico è centrale nell’apporto del gruppo degli Annales.
Da questa premessa possiamo dedurre che il Mediterraneo in quanto spazio foriero di scambi è anche una fonte identitaria, molteplice, polivalente ma che mantiene una sua costanza identitaria fino ai giorni nostri. Chi è nato sulle coste del Mediterraneo, viaggiando sullo stesso avrà notato come si sente una permanenza di fattori comuni anche in zone e culture che oggi sembrano remote.
Questa funzione identitaria viene esplicitata da un insieme di elementi culturali, tra i quali il cibo e l’alimentazione.
CIBO, IDENTITA’ E ISOLE
Per vedere come l’elemento materiale del cibo all’interno di un’isola si va ad intersecare con i fattori che abbiamo evidenziato, prendiamo in analisi il caso di Alicudi e delle sue mahare volanti o streghe volanti.
Alicudi5 la più remota delle isole Eolie ha conosciuto nella sua storia recente un fenomeno migratorio molto elevato passando dai circa 1500 abitanti dell’Ottocento fino ai pochi più di 100 di oggi. Agli inizi del Novecento, circa dal 1902 al 1905, si rende protagonista di quella che è nota come la leggenda delle mahare arcudare.
Una serie di avvistamenti da parte dell’intera popolazione, di donne che avevano la capacità di volare in determinate situazioni, come nei migliori topos culturali delle streghe.
In passato queste narrazioni sono state accettate come delle leggende isolane senza approfondire in realtà cosa potesse essere accaduto e come un’intera comunità, pur numericamente esigua sia stata concorde nel dichiarare la “realtà” delle sue affermazioni.
Ora dobbiamo tener presente, secondo il modello precedente, che l’isola in questione rappresenta un nodo di interscambio non centrale e quindi presenta caratteristiche particolari di isolamento nei confronti dell’esterno, almeno in parte.
Ne consegue che il principio di comunità, è molto forte e sentito, si fanno le cose insieme, si lavora insieme. Il tutto per assicurare la sopravvivenza della comunità.
Si coltivava ogni angolo remoto dell’isola, anche le cosiddette share, pendii ripidissimi di sabbia che andavano verso il mare. Anche l’ultimo filo d’erba veniva usato per le capre e le pecore, la stessa acqua piovana veniva raccolta durante l’inverno per essere usata durante l’estate. Oggi la definiremmo un’economica circolare di natura adattiva.
Sull’altopiano grazie all’umidità si riusciva a coltivare la segale e l’orzo con i quali venivano fatto il pane uno degli alimenti fondanti della cultura mediterranea e non solo.
Quest’alimento ha costituito per millenni una base solida nutrizionale e culturale delle popolazioni del mare nostrum. Si passa dai circa 400 tipi di pane della Sardegna ai modesti raccolti di segale e orzo di Alicudi.
La segale, e quindi i suoi derivati come il pane, è soggetta ad infestazioni dalla claviceps purpurea, un fungo parassita delle graminacee, che genera delle escrescenze note con il nome di ergot, sperone in francese. Da tali escrescenze, deriva il nome ‘segale cornuta” con cui è nota tradizionalmente. Gli isolani chiamano queste spighe le tizzonare, il che testimonia la presenza di tale elemento all’interno della cultura locale.
Questo parassita essendo all’interno delle stesse spighe di segale non poteva essere separato e veniva macinato. Le caratteristiche proprie di questo elemento rendevano la farina e quindi il pane un cibo con effetti potenzialmente allucinogeni. La segale cornuta difatti è l’elemento da cui il chimico svizzero Albert Hofmann6 nel 1938 ha individuato e sintetizzato la dietilammide-25 dell’acido lisergico meglio nota con il nome di LSD.
Aiutati da un ambiente estremamente isolato anche in termini di comunicazioni con l’esterno, si è creato un ambiente favorevole allo sviluppo di forme allucinatorie che consistono essenzialmente nella ricerca di modelli visivi mentali comuni su base neurologica e culturale.
L’isolamento ha probabilmente agevolato quella che è una caratteristica comune ad ogni gruppo sociale, ovvero la ricerca della coesione attraverso un codice condiviso di forme comportamentali e culturali che vanno ad impattare nei processi percettivi.
La ricerca della coesione, soprattutto nel passato trovava una maggiore facilità di attuazione soprattutto nel contesto di micro-gruppi sociali isolati attraverso quello che potremmo definire una relazione sinergica tra l’apporto antropico e quello fisico-geografico.
A questo faceva riferimento la tradizione isolana di trascorrere spesso le serate insieme raccontando, condividendo e consolidando le storie e i miti della terra tramandati attraverso le generazioni.
L’introduzione di un elemento potenzialmente allucinogeno all’interno del piatto base dell’alimentazione quale il pane mediterraneo ha fatto sì che queste caratteristiche parzialmente destabilizzanti dalle percezioni legate all’ambiente circostante si andassero a ricollegare con dei miti e delle tradizioni riconosciute dalla popolazione, da qui la visione delle mahare, delle streghe che appunto avevano la capacità di volare da un’isola all’altra e si riunivano in delle spiagge della isola dove esse mangiavano e danzavano insieme.
Interessante notare come ritroviamo dei topos, modelli tipici comuni ad altre culture che interpretano il fenomeno cosiddetto delle streghe. È la testimonianza delle capacità di collegamento culturale anche di isole minori, situate su flussi di secondaria intensità. Con un gioco di parole possiamo dire che nessuna isola è veramente isolata.
La figura della mahare7 difatti è già presente all’interno della cultura siciliana e rappresenta la donna che ha delle capacità e delle conoscenze particolari soprattutto riguardo il mondo delle piante e il mondo delle alterità ed è capace di generare forme di terapia utilizzando gli elementi della natura in particolare attraverso piante e dei preziosi sali. Difatti è interessante notare che secondo la tradizione ad Alicudi si dice che si poteva andare a mangiare con le streghe ma tutto veniva preparato senza sale, ma non ci si poteva lamentare che il cibo fosse servito sciapo, altrimenti si sarebbe stati uccisi.
Queste nostre brevi considerazioni ci fanno riflettere sulla complessità del fenomeno identitario a livello collettivo, personale e delle influenze che vengono esercitate sia dall’ambiente, sia da fattori di natura squisitamente culturale e non deterministica. Il cibo in questo processo ha un ruolo trasversale e di collegamento tra queste due tensioni. Anche in situazioni particolarmente isolate, quasi da laboratorio, come nel caso di Alicudi, si vede come ci si intreccia costantemente con un vissuto che parte da culture arcaiche, quali i rituali Eleusini, che attraverso un interscambio di conoscenza e forme archetipali influenzano quelle che sono le nostre percezioni della cultura e della realtà.
Roberto Mascilongo
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Note:
1 Weinberg, Bennett Alan; Bealer, Bonnie K. (2004) [2001]. “The Origin of the Word”. The World of Caffeine: The Science and Culture of the World’s Most Popular Drug. New York: Routledge.
2 Ukers, William Harrison (1935). All about Coffee.
3 Carl Ritter “La geografia in relazione con la natura e la storia dell’uomo”, del 1817.
4 Maurice Aymard, (1977),”Espaces” et “Migrations”, in La Méditerranée, sous la direction de Fernand Braudel, Paris, Arts et Métiers Graphiques, t.1,L’Espace et l’Histoire
5 Fattorini, S. (2010). The influence of geographical and ecological factors on island beta diversity patterns. Journal of Biogeography, 37(6), 1061-1070.
6 Hofmann, A. (1993). I misteri di Eleusi. Stampa alternativa.
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Roberto Mascilongo – Dopo la laurea in antropologia sociale ho compiuto esperienze lavorative e di studio all’estero che mi hanno portato ad approfondire l’aspetto economico della società, fino a conseguire la licenza di Broker rilasciata dello Stato della California, dove ho operato e vissuto. Ho collaborato con aziende nel settore del brokeraggio mobiliare e immobiliare per alcuni anni. Al contempo mi sono occupato di project management di eventi per agenzie del settore moda, in particolare nella Bay Area californiana.
In seguito al mio rientro in Italia ho svolto delle esperienze accademiche all’università “La Sapienza” nel settore del fashion marketing e ho acquisito l’abilitazione all’insegnamento della geografia nelle scuole superiori pubbliche italiane. Attraverso un dottorato in geopolitica e geoeconomia ho approfondito gli studi del settore con una tesi sull’influenza geopolitica dell’intelligenza artificiale.
Le mie collaborazioni professionali ed accademiche sono focalizzate sull’indagine delle strutture sociali, l’analisi delle reti relazionali, le dinamiche geopolitiche globali e del Mediterraneo. In particolare del Mare Nostrum ho esplorato le diverse relazioni che si manifestano in determinate espressioni culturali, quali il cibo e la convivialità. Sono interessato all’applicazione pratica di metodologie computazionali alle scienze sociali, quale supporto all’analisi di fenomeni collettivi e politici. Attualmente sto mettendo in atto le competenze acquisite su un progetto internazionale di natura finanziaria: lo sviluppo di una società di gestione capace di indirizzare capitali pubblici e privati verso il supporto di attività imprenditoriali ed economiche ad elevato impatto sociale e innovativo.