La morte di Osama Bin Laden, nascita di un mito?

di Guido Monno

I giornali di tutto il mondo stanno commentando con toni entusiastici la morte di Osama bin Laden ucciso, a quanto dettoci, nel corso di un’operazione delle forze speciali USA.

Direi che Osama bin Laden ha raggiunto il suo obiettivo: quello di essere un martire per la causa.

A lungo l’ottica occidentocentrista del nostro mondo non ha saputo cogliere il senso di ciò che bin Laden portava con sé: una rivalsa del mondo islamico (e non solo) nei confronti di una cultura non considerata superiore alle altre e che è stata protagonista di fenomeni non giudicati positivamente, quali l’imperialismo e il colonialismo – per non parlare, secoli prima, delle Crociate – così come la voglia di riscatto di coloro che nell’ottica marxista sarebbero considerati gli sfruttati da un liberismo esagerato.

Ci si scorda troppo facilmente che dietro Osama bin Laden vi erano e vi sono seguaci che hanno individuato in lui non il capo operativo, ma il leader che indica una strada. La strada della rivincita rispetto alle tante umiliazioni subite da numerose popolazioni oppresse da quegli stessi dittatori che noi, Occidente, abbiamo messo al loro posto di comando e abbiamo ampiamente sostenuto, pronti a sostituirli con qualche altro a noi gradito, al primo vento di rivolta popolare.

Dittatori e regimi per cui bin Laden e coloro che a lui si rifacevano ideologicamente costituivano lo spauracchio da agitare per ottenere il supporto dell’Occidente, anche passando sopra a quei diritti umani di cui tanto si parla ma che poco vengono supportati quando vi sono interessi economici.

La strada di Osama bin Laden era quella del così detto “integralismo islamico” che propugna una particolare visione dell’Islam come strumento per raggiungere fini che possiamo considerare politici.

Visione che, spesso e volentieri, è stata sfruttata dall’Occidente, sopratutto nel periodo della guerra contro il nemico sovietico proprio in Afghanistan, allorquando la maggior parte degli aiuti economici e militari andava proprio ai gruppi più radicali nella loro concezione dell’Islam, o quando Israele aiutava Hamas nell’ottica anti PLO.

Ci si dimentica che, in molte parti del mondo – inclusi i Balcani a noi così vicini – l’attacco sul suolo americano dell’11 settembre è stato anche fonte di festeggiamenti,  al di là del rammarico ufficiale espresso dai governi e del sincero dolore per le vittime.

Bisognerebbe chiedersi il perché.

Il grido “Dupe svage kage”, che riecheggiava in Serbia, e grida simili in altre parti del mondo, avrebbero dovuto farci riflettere, così come la proliferazione nel mondo islamico di magliette con l’immagine di Osama e la sua foto in numerose abitazioni; ma quella della riflessione è arte che va sempre più scemando.

Il giorno della cattura di Saddam Hussein mi trovavo in un’aula a Roma e il docente, un così detto esperto di Terrorismo, all’arrivo della telefonata che ne annunciava la cattura, proruppe nell’urlo “Hanno preso il puzzone. E’ tutto finito”, al che io aggiunsi: “Ora cominceranno i problemi”. Facile Cassandra. L’abitudine a ragionare con strumenti ideologici e categorie proprie del mondo occidentale, trasferendoli in altre culture e mondi, ignorandone le regole e la cultura, è parte intrinseca di quello che Said chiamava “Orientalismo”.

La funzione di bin Laden in quanto leader operativo è terminata da lungo tempo. Egli rappresentava l’icona, il leader carismatico che indicava una strada. Non è un caso che, secondo alcuni autori che lo hanno intervistato, lo Sceicco fosse sempre accompagnato da un gruppo di guardie del corpo che avevano fra gli altri, il compito di impedire che fosse catturato vivo. L’immagine di leader, sarebbe stata annullata nel contesto di un eventuale processo trasformandosi in quella di un criminale comune. I casi Guzman e Ocalan da una parte e quello del Che dall’altra, sottolineano tale differenza. Così, invece, è diventato un martire, un esempio da seguire, un personaggio ormai idealizzato.  Esistono numerose testimonianze del fatto che non avesse paura di morire; ha spesso sfidato la morte, esponendosi al fuoco nemico e conquistando la stima e l’ammirazione di chi gli stava vicino. Ai suoi fidi aveva dato l’ordine di ucciderlo piuttosto che permetterne la cattura. È riuscito ad andarsene nella maniera che desiderava.

E mentre nel mondo occidentale si levano urla di gioia e di soddisfazione per l’operazione militare, in altre parti del mondo, Osama bin Laden è diventato un martire il cui esempio e il cui ideale è da seguire, un simbolo ancora più potente da morto che da vivo.

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