di Italo Farnetani
Molte malattie sono state associate al Mediterraneo per cui sembrerebbe che questo mare fosse la causa di innumerevoli forme patologiche, infatti si parla di anemia mediterranea, oppure vari tipi di febbre sono state legate all’aggettivomediterranea. Ancora più emblematico è il caso della brucellosi, chiamata maltese solo perché fu scoperta nell’isola di Malta.
L’errore nasce perché la grande civiltà che nei secoli si è sviluppata ai bordi del Bacino del Mediterraneo ha influenzato positivamente anche gli studi scientifici, per questo molte malattie sono state scoperte, studiate e riconosciute nei centri di ricerca ai bordi del Mediterraneo, ma poi si è scoperto che sono presenti in tutto il mondo.
Il grande contributo del Mediterraneo allo sviluppo della scienza risale fin dall’antichità. Infatti, alla nascita della medicina scientifica determinata da Ippocrate. I motivi sono vari, sicuramente le condizioni climatiche e di alimentazione, che creavano condizioni favorevoli alla vita, ma un altro punto di forza è stata la possibilità di comunicare fra gli scienziati e le persone, come poteva essere consentito dalla facile navigabilità del Mediterraneo, che per questo veniva chiamato mare nostrum.
Grazie a queste opportunità Ippocrate fondò nella sua isoletta la prima grande scuola di medicina scientifica dell’umanità e poté farlo perché era facilmente raggiungibile attraverso la via marittima. Lo stesso Ippocrate poté formarsi come medico percorrendo, di fatto, da est a ovest tutte le coste del Mediterraneo, realizzando quello scambio di conoscenze e di esperienze valido ancora oggi, che però avviene con altri mezzi di comunicazione e di telecomunicazione.
La ricerca italiana, in particolare, è stata sempre all’avanguardia, realizzando scoperte fondamentali nelle principali malattie legate al Mediterraneo. Si pensi alle β-talassemie. Ignazio Gatto, palermitano, scoprì la genetica delle β-talassemie studiando gli alberi genealogici di pazienti ammalati, potendo così, primo al mondo, riconoscere la condizione omozigote ed eterozigote e potendo realizzare una classificazione della malattia valida ancora oggi. Se si pensa ai tempi attuali e al prossimo futuro, ancora la ricerca italiana sta dando un contributo fondamentale alla terapia di questa malattia che è presente nei vari continenti, perciò non solamente nel Bacino del Mediterraneo.
A dimostrazione però del contributo dato dagli scienziati dei paesi che si affacciavano su questo mare, e in particolare di quelli italiani, basta ricordare che la gran parte delle scoperte relative alle β-talassemie sono avvenute in un quadrilatero tracciato idealmente all’interno del mar Tirreno tra Palermo, Napoli, Cagliari e Roma.
Storia analoga è quella della leishmaniosi, il cui parassita fu identificato a Napoli da Giuseppe Pianese e, a Palermo, Giovanni di Cristina e Giuseppe Caronia riuscirono a trovare, ai primi del secolo scorso, la terapia con derivati antimoniali che è valida ancora oggi.
L’insegnamento di Ippocrate, si è mantenuto fino ai giorni nostri, a dimostrazione che era espressione della civiltà, della cultura e dell’umanità del Mediterraneo.
La scuola medica italiana, ha sempre avuto come riferimento gli insegnamenti ippocratici, privilegiando l’osservazione del paziente e della sintomatologia clinica che presentava, senza mai farsi suggestionare dalle nuove tecnologie o dalle più moderne scoperte scientifiche. Basandosi sugli insegnamenti ippocratici, Umberto Gabbi, clinico medico di Messina, sostenne, contro il parere di importanti scienziati internazionali, che la leishmaniosi che si presentava nel Bacino del Mediterraneo e nel continente asiatico erano la stessa malattia, anche se presentavano dati di laboratorio diversi. La storia successiva gli ha dato ragione. Ugualmente, Ignazio Gatto riuscì a scoprire la genetica delle β-talassemie analizzando con accurata osservazione clinica i sintomi che presentavano i vari pazienti e, con riferimento agli alberi genealogici, comprese il meccanismo di trasmissione della malattia, realizzando così una delle più importanti scoperte della ricerca pediatrica italiana.
Infine, non dimentichiamo l’importante contributo alimentare della pesca che, fornendo alle popolazioni, anche alle più povere, la possibilità di introdurre proteine animali, permetteva di contrastare le malattie da deficit nutrizionali, come l’anemia perniciosiforme di Gerbasi che si presentava in nutrici che, per povertà, avevano una dieta priva di proteine animali.
Le priorità, le scoperte e i fondamentali contributi che si sono realizzati dalle popolazioni, i medici e gli scienziati che hanno vissuto e vivono nei paesi del Bacino del Mediterraneo, hanno dato un determinante impulso allo sviluppo dell’assistenza e della ricerca in medicina.
Italo Farnetani (*)
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Italo Farnetani (Arezzo, 1952). Professore Ordinario di Pediatria presso l’ Università degli Studi Ludes – United Campus of Malta. In passato è stato Professore a contratto presso le Università di Firenze, Statale di Milano, Milano-Bicocca. È giornalista pubblicista collaborando, fra le numerose testate, con il “Corriere della Sera” e “Repubblica”. È impegnato nel volontariato sanitario internazionale
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