IlConvegno, organizzato da OMeGA e tenuto il 10 maggio presso la sala Montezemolo del Casd, ha messo in luce l’immobilismo della politica internazionale, quando si scontri con l’interesse dei Grandi.
di Guido Monno
“Alla fine prevale sempre la legge del più forte”, questa in sintesi l’amara considerazione del ministro Giorgio Bosco, forte della sua lunga esperienza al servizio della diplomazia, al termine di una giornata di studio dedicata al problema Saharawi e organizzata dall’associazione O.Me.G.A., a Roma, il 10 maggio presso la prestigiosa sede del CASD.
Le numerose relazioni presentate hanno dato un quadro esaustivo della vicenda ma l’intervento dell’assessore della Regione Toscana, Massimo Toschi, e la sconfortante ammissione di impotenza del ministro Giorgio Bosco hanno sintetizzato i risultati del dibattito.
Toschi si è giustamente chiesto come, se non sia possibile trovare una soluzione a un problema che riguarda 300.000 persone, si possano risolvere controversie ancora più complesse quali quelle che riguardano il conflitto fra Israeliani e Palestinesi o i numerosi altri conflitti di cui poco si parla.
E qual è il discrimine per cui di fronte ad alcuni problemi ci si muove immediatamente a seguito di decisioni delle Nazioni Unite inviando risorse, sopratutto militari, mentre in altri (e direi più numerosi) casi nulla si muove?
Il caso Saharawi ne è un classico esempio.
I campi profughi, triste realtà del genere umano, che dovrebbero fornire una sistemazione temporanea, assumono sempre più frequentemente un carattere definitivo, sedimentando situazioni transitorie cui la comunità internazionale rivolge spesso uno sguardo fugace e disattento, incapace di risolvere problemi legati a situazioni di carattere geopolitico e/o di interesse più strettamente personale.
Anche nel caso del Sahara Occidentale sono apparsi sulla scena attori internazionali che operano a livello geopolitico dietro le quinte per il perseguimento dei propri obiettivi. Cui si aggiungono interessi personali, sia di natura economica che politica, fondati sopratutto sullo sfruttamento delle risorse da una parte e da esigenze elettorali dall’altra, incuranti di quel concetto di etica che tanto informa i nostri discorsi e poco le nostre azioni.
La lucidissima esposizione dell’Emerito Prof. Gori, ci ha infatti calato nella realtà del gioco geopolitico attraverso i sistemi adottati da una materia, quella delle Relazioni Internazionali, fatta più di numeri e algoritmi, di rapporti di forza e di potere percepito o reale, che di cuore ed esseri umani.
L’intervento del Professore e Onorevole Touadi, apprezzatissimo dai tecnici e dalla platea, ci ha immerso in una realtà quale quella africana, fatta di sperequazioni, di interessi delle potenze coloniali attuate nel recente passato anche attraverso la creazione di linee di frontiera tracciate senza tenere in alcun conto le realtà locali ed etniche, e una scelta deliberata di non formare una classe dirigente orientata verso gli interessi locali bensì tesa a soddisfare gli appetiti coloniali. Appetiti perpetuatisi oggi in una nuova forma di colonialismo commerciale ed economico cui non sono estranei numerosi conflitti armati che hanno insanguinato e insanguinano il Continente.
E’ uno scenario che vede come attori non solo le ex potenze occidentali, coloniali e non coloniali, ma anche Cina ed India, come è stato messo in evidenza dalla lucida disamina del generale Coltrinari che ha parlato dei recenti studi sullo sfruttamento delle risorse e del conflitto in atto al riguardo (secondo la terminologia usata dal Professor Gori che sottolinea come conflitto non significhi solo scontro armato).
E i Saharawi?
Quello che si è venuto delineando durante il convegno è che l’allungamento dei tempi per la risoluzione del problema porta a:
- una diminuzione della possibilità che le aspettative tanto attese del popolo Saharawi, si realizzino. Aspettative miranti sopratutto all’indipendenza e cui darebbero ragione non solo il diritto internazionale, ma numerose decisioni delle Nazioni Unite che hanno sancito il diritto all’autodeterminazione attraverso un referendum come unica via possibile per rispettare la volontà della popolazione locale;
- un incremento delle possibilità che le aspirazioni del Marocco si realizzino. Aspirazioni legate sia a motivi di prestigio che di interessi economici per le risorse presenti in quell’area. Infatti, da parte marocchina non si vuole sentir parlare di indipendenza, arrivando alla massima concessione di una qualche forma di autonomia. E le proposte avanzate anche durante il convegno, di smuovere una situazione di impasse qual è quella attuale con una qualche forma di autonomia amministrativa, favoriscono indubbiamente le posizioni dello stato guidato da Mohammed VI, che prolunga il suo controllo sull’area allungando i tempi della creazione di uno stato autonomo con tutte le caratteristiche che gli vengono riconosciute dal diritto internazionale. Come ebbe a dire un longevo uomo politico italiano, non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.
E’ sintomatico che, di fronte all’appassionato e razionale appello lanciato dal rappresentante del fronte Polisario in Italia, Omar Mih, abbia fatto riscontro l’assordante silenzio di qualsiasi rappresentante ufficiale del Marocco che, scegliendo di non partecipare al convegno, ha, di fatto, manifestato una posizione di debolezza delle tesi sostenute dal governo marocchino, debolezza compensata dal peso che il Marocco come Stato ha nella comunità internazionale rispetto alla struttura della Repubblica Democratica Araba dei Saharawi.
Ma, come detto prima, le logiche geopolitiche sono quelle che governano attualmente la realtà del nostro pianeta.
Se una lezione è emersa da questo dibattito è che solo la somma degli sforzi dei singoli individui può portare ad uno sviluppo della società nel suo complesso, superando le logiche e gli interessi sia degli Stati, che di gruppi economici e di singole persone per il raggiungimento di una società mondiale in cui la supremazia di leggi giuste e rispettose del diritto della persona e delle risorse della terra possa affermarsi al di là del potere della forza.
Questo comporta il rispetto di diritti, quali quelli enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo troppo spesso definiti irrinunciabili e degni della massima protezione, senza che alle enunciazioni seguano i fatti, e del principio dell’autodeterminazione dei popoli, come peraltro sancito dalla carta delle Nazioni Unite.
E questo può essere ottenuto solo attraverso uno sviluppo culturale dell’umanità nel suo complesso, che permetta la costruzione di una società civile cosciente capace di avere al suo interno gli anticorpi necessari ad evitare il ricorso alla legge del più forte.