di Elisa Bertacin
Dopo i primi entusiasmi, suscitati dalle rivolte nordafricane e dalla speranza di una primavera democratica anche nella regione, l’attenzione si è focalizzata sui flussi migratori che hanno interessato, e ancora interessano, l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione Europea, da sempre investiti da questo fenomeno. A livello nazionale, si parla ormai di più di 27.000 persone, giunte nel nostro Paese per sfuggire agli scontri e alle violenze civili delle Nazioni sud-mediterranee. Sin dai primi giorni, si è parlato di “emergenza immigrati” e molte sono state le proposte avanzate, soprattutto a livello europeo. In particolare, Malta ed Italia hanno più volte richiesto di attivare la Direttiva UE 55 del 20 luglio 2001 (emanata dopo la crisi umanitaria del Kosovo del 1999). In base all’art.1, essa concerne le “norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla protezione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi”. In più, secondo l’art.2 comma a), s’intende per “protezione temporanea”: “la procedura di carattere eccezionale che garantisce, nei casi d’afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi terzi che non possono rientrare nel loro Paese d’origine, una tutela immediata e temporanea alle persone sfollate, in particolare qualora vi sia anche il rischio che il sistema d’asilo non possa far fronte a tale afflusso senza effetti pregiudizievoli per il suo corretto funzionamento, per gli interessi delle persone di cui trattasi e degli altri richiedenti protezione”.
L’Italia ha chiesto che tale Direttiva venga attuata anche nel caso degli afflussi di immigrati dal Nordafrica, emanando contestualmente il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 aprile 2011, relativo alle “Misure di protezione temporanea per i cittadini stranieri affluiti dai Paesi nordafricani”. L’atto, unilaterale, ha scatenato numerose reazioni negli altri Paesi membri, che si sono concretizzate nella risposta della Commissaria agli Affari Interni, Cecilia Malmström, al Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nella quale si ribadisce che “non sussistono le condizioni per attivare la direttiva” in questione, in quanto “i migranti irregolarmente entrati nel territorio italiano sono nella stragrande maggioranza migranti economici, non richiedenti asilo… La Direttiva sulla protezione temporanea intende invece tutelare gli sfollati provenienti da Paesi terzi che non possono ritornare nel Paese d’origine”.
La tematica “immigrazione” è di grande attualità da sempre e rappresenta l’aspirazione dell’uomo a migliorare la posizione propria e dei suoi discendenti. Di flussi migratori la storia abbonda in ogni capitolo dell’evoluzione umana. Negli ultimi anni, a causa della divaricazione della forbice delle condizioni di vita dei Paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo, complici anche i vigorosi flussi commerciali del mercato globale a tutto vantaggio delle aree dalle quali questi flussi partono, il fenomeno è divenuto molto più sensibile. Gli eventi del Nord Africa e del Vicino Oriente l’hanno fatto divenire drammatico.
Questa è una sfida che l’Unione Europea, a diversi mesi di distanza dall’inizio del fenomeno, non ha ancora saputo affrontare con una risposta compatta, coerente e concreta. Italia e Malta sono state in un certo senso isolate, lasciate sole ad affrontare la situazione. E neanche in questo modo, le risposte si sono rivelate particolarmente soddisfacenti ed efficaci. La Commissione Europea sta, in effetti, cercando di intensificare le azioni necessarie al completamento del proprio sistema di asilo, previsto per il 2012. Il 1° giugno scorso ha presentato una serie di modifiche alle Direttive “accoglienza” (IP/08/1875) e “procedure” (IP/09/1552), introducendo norme più flessibili, eque ed efficaci sia per gli Stati membri, sia per coloro che richiedano protezione internazionale. Preoccupata da fattori che la riguardano da vicino, quali basso tasso di natalità, invecchiamento crescente della popolazione, a fronte di un’altrettanto crescente richiesta di manodopera lavorativa, l’Europa è comunque consapevole della necessità di gestire costruttivamente l’immigrazione alle frontiere esterne, favorendo l’ingresso legale di lavoratori extracomunitari qualificati e prevenendo abusi ed illegalità. Le rivolte nel Nord Africa hanno portato ad un aumento esponenziale del fenomeno migratorio da Paesi quale Libia e Tunisia verso le coste di Italia e Malta: in merito a tale questione, la Commissione ha proposto una serie di nuove misure, un “dialogo per le migrazioni, la mobilità e la sicurezza”, da costruire e sviluppare con i Paesi del Mediterraneo meridionale, proposte, queste, previste tra i punti di discussione all’ordine del giorno del Vertice del Consiglio europeo, tenutosi il 23 e 24 giugno scorsi a Bruxelles. Tra le conclusioni, compare anche un invito, rivolto alla Commissione Europea, a presentare entro il prossimo settembre una proposta per un meccanismo in grado di agire efficacemente in caso di situazioni di emergenza che mettano a rischio il sistema di Schengen, senza però compromettere, al contempo, la libertà di movimento stabilita all’interno dei Paesi dell’Unione. Tale meccanismo “should comprise a series of measures to be applied in a gradual, differentiated and coordinated manner in order to assist a Member State facing heavy pressure at the external borders. These could include inspections visits and technical and financial support, as well as assistance, coordination and intervention from FRONTEX.” In questo modo, il Consiglio europeo sembra condividere la linea di pensiero della Commissione europea, favorevole ad una gestione più “comunitaria” del sistema di Schengen, limitando in questo modo le possibilità di azione individuali a livello nazionale (posizione, questa, sostenuta in particolare dai governi di Francia e Germania). Di certo, queste due distinte visioni torneranno a confrontarsi a settembre, quando l’Esecutivo dell’Unione sarà chiamato a discutere e negoziare le proposte della Commissione sui dettagli di questo meccanismo. Il Vertice dei giorni scorsi, infatti, ha stabilito che “as a very last resort, in the framework of this mechanism, a safeguard clause could be introduced to allow the exceptional reintroduction of internal border controls in a truly critical situation where a Member State is no longer able to comply with its obligations under the Schengen rules. Such a measure would be taken on the basis of specified objective criteria and a common assessment, for a strictly limited scope and a period of time, taking into account the need to be able to react in urgent cases. This will not affect the rights of persons entitled to the freedom of movement under the Treaties”.
A tale scopo, verrà sviluppato ulteriormente lo European Border Surveillance System in modo da diventare operativo nel 2013 e permettere alle autorità degli Stati Membri di porre in essere attività di controllo delle frontiere concrete ed efficaci, cooperando anche nel campo dell’information-sharing.
Spesso si tende ad utilizzare i termini “clandestino” ed “irregolare” come sinonimi, quando in realtà si parla di due situazioni differenti: mentre il secondo indica lo straniero che è entrato regolarmente in un Paese e la cui posizione di illegalità è dovuta all’assenza di un regolare permesso di soggiorno, il “clandestino” è colui che ha fatto ingresso illegalmente. La clandestinità appare frutto di una persistente discrepanza tra le più che comprensibili esigenze di controllo del Paese di arrivo e le esigenze (umanamente indiscutibili) del migrante. Tuttavia, richiamando le parole della Commissaria Malmström, se è vero che le migliaia di immigrati sbarcati in Italia negli ultimi mesi sono semplicemente in cerca di lavoro, è anche vero che la loro clandestinità è una conseguenza continuamente nutrita dalle dinamiche interne della maggior parte dei Paesi, europei e non solo, che ufficialmente condannano la clandestinità, per poi tollerarla dietro le quinte, dato che consente un supersfruttamento della risorsa lavorativa, senza diritti rivendicabili. È qui che devono andare ad agire le proposte di lungo periodo della Commissione Europea, puntando a creare, in collaborazione con i Paesi del Mediterraneo meridionale, condizioni lavorative, ma, prima di tutto, condizioni di vita, accettabili e stimolanti per tutti.
Già lo scorso 8 marzo, la Commissione e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Catherine Ashton, avevano avanzato la proposta di sviluppare una partnership di lungo periodo per la democrazia e la prosperità assieme ai Paesi della fascia meridionale del Mediterraneo, approccio basato su una crescita ed uno sviluppo economici sostenibili, con particolare sensibilità per le questioni sociali, prima fra tutte l’occupazione. Tali misure sono fondamentali affinché l’Europa e i Paesi mediterranei possano incanalare il fenomeno dell’immigrazione in un processo regolare ed efficiente. Solo così si potranno soddisfare le esigenze di tutti coloro che sono alla ricerca di una posizione lavorativa, in particolare in quei settori troppo spesso sottovalutati, ma ugualmente fondamentali per la crescita di un Paese. Si tratta di uno degli aspetti facenti capo al grande progetto dell’“Approccio globale europeo alle migrazioni”, un progetto che mira ad organizzare ogni forma legale di migrazione, massimizzandone l’impatto positivo in termini di sviluppo sociale ed economico e andando al contempo a contrastare ogni fenomeno di irregolarità e clandestinità. Il tutto promuovendo, rispettando e garantendo i diritti dei migranti, extracomunitari o meno.
A contribuire al buon esito di tale progetto (per ora rasente all’utopia, secondo chi scrive) ci sarà una “Partnership per la mobilità” (inscritta all’interno del più ampio contesto della Politica di Vicinato europea) il cui compito sarà di dare il via ad un processo di crescente integrazione tra i cittadini europei e quelli dei Paesi partner dell’area mediterranea, un “apripista”, a cui si affidano le speranze di vedere una sorta di effetto domino anche per i migranti provenienti dagli altri Paesi. Questo implicherebbe, naturalmente, un investimento massiccio nelle capacità di accoglienza e gestione dei flussi migratori dei vari Paesi, nonché dei vari mercati occupazionali, nel pieno rispetto delle condizioni di sicurezza e legalità. Tali capacità devono essere sviluppate e garantite non solo dai Paesi europei, ma anche dai partner mediterranei, assistiti, a livello tecnico e finanziario, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), nonché dalle Agenzie dedicate dell’Unione Europea: FRONTEX, EASO (European Asylum Support Office) ed EUROPOL.
Tali proposte, accolte dal Consiglio, vedranno il lancio di un graduale dialogo con i potenziali partner del Mediterraneo, una scelta che valuterà, di volta in volta, oltre all’attuale stato generale dei rapporti di tali Paesi con l’Europa e la loro volontà ad impegnarsi in un dialogo reciprocamente utile e costruttivo, anche la loro capacità contingente di gestire i flussi migratori, soprattutto nei casi di emergenza. Per queste ragioni, la Commissione ha proposto come candidati iniziali per aprire il dialogo Tunisia, Marocco ed Egitto.
A conclusione del Vertice, il Consiglio Europeo ha adottato una dichiarazione concernente il Vicinato meridionale, secondo i principi delineati dalla Commissione in questi mesi. In particolare, viene sottolineata l’importanza dell’Unione per il Mediterraneo, soprattutto oggi, mentre assistiamo ad una drastica trasformazione della Regione, dalle rivolte in Egitto e Tunisia ai lavori per la nuova Costituzione marocchina, dalle riforme politiche in Giordania all’annuncio di simili iniziative in Algeria.
Sebbene giornali e notiziari non stiano più dando tanto peso alla questione immigrazione, ciò non significa che la situazione sia stata risolta e superata. Le conclusioni a cui è giunto il Vertice di Bruxelles, pertanto, non devono essere viste, a nostro avviso, come risolutive né soddisfacenti: i principi generali individuati dalle proposte della Commissione discusse nei giorni scorsi sono sì stati accettati, ma, concretamente, quale risultato è stato raggiunto? Un accordo sui principi, ma l’ennesimo rinvio per quanto riguarda la concreta operatività della gestione della questione. Non ci resta che attendere settembre, quando la Commissione sottoporrà le sue proposte circa i meccanismi di gestione dell’immigrazione. Anche in questo caso, l’Europa sarà chiamata a misurare i propri poteri e capacità negoziali e a confrontarsi con le proprie responsabilità. Ci si augura possa assumersele, una volta per tutte, consapevolmente ed in maniera costruttiva, evitando di aggrapparsi ancora una volta alla controproducente filosofia dello “scaricabarile”.