Cambiano i tempi, si alternano i regimi, ma l’uomo indifeso continua a soffrire, come prima, più di prima

Intervista alla filosofa ungherese Agnes Heller pubblicata da “rassegna.it

di Elisa Bertacin ed Enrico La Rosa

Ci ha particolarmente colpito, per i motivi che appariranno molto chiari più giù, l’intervista rilasciata a Mariarosaria Sciglitano, OSME, dalla grande Agnes Heller, filosofa ungherese, scampata ai campi di concentramento nazisti ed oggi, per dirla con il Centro Studi Filosofico-religiosi «Pakeyson» “tra i più autorevoli interpreti della complessità filosofica e storica della modernità” musa della “ricchezza dell’uomo, del suo sentire, del suo produrre e soprattutto del suo agire politico e morale, delle sue modalità e condizioni di perfezionamento, verso l’incarnazione utopica contemporanea di quell’ideale di uomo ricco in bisogni, produttore di bellezza artistica, bontà pratica e giustizia politica”. Intervista pubblicata sulla Newsletter dell’11/07/2011-13,32 di <rassegna.it>: http://www.rassegna.it/articoli/2011/07/10/76004/agnes-heller-non-mi-piace-questungheria-per-ricchi. 

Immaginiamo di imbatterci per caso in quest’intervista ignari dell’autore e dello specifico contesto nazionale e politico. Si legge di una certa disillusione politica, dovuta all’assenza di poteri, figure, istituzioni che possano fungere da legittimo contrappeso al governo. Non esiste una vera e propria opposizione, non ci sono alternative valide, concrete ed efficaci, e questo disincanto si trasferisce sulla percezione che ha il popolo della politica: ormai non ci crede più, vive la situazione politica del proprio Paese in maniera passiva ed apatica. Soprattutto, non si ha l’impressione dell’approssimarsi di svolte significative, i volti che si vedono sono gli stessi da molti anni, sembra che ormai la politica non sia più un terreno valido (ed accessibile) per la crescita e l’educazione dei giovani ad un’etica politica responsabile, capace di ascoltare e dare risposte immediate, valide e partecipate ai bisogni della società.

Il risultato impressionante sarebbe che un italiano probabilmente penserebbe di avere di fronte ai propri occhi uno spunto critico (forse ai limiti dell’esasperazione) circa l’odierna situazione nazionale.

Un disincanto che aumenta dunque esponenzialmente se ci si addentra nelle fasce sociali più giovani, soprattutto di quell’ampia fetta costituita dai laureati in cerca di un’occupazione, spesso la prima, che da un lato si sentono forti della formazione ricevuta, ma, dall’altro, si ritrovano a fare i conti con un mondo del lavoro famelico e, spesso, incapace di soddisfarne richieste e legittime ambizioni. Buona parte, si vedrà, costretta ad emigrare in altri Paesi, in cerca del lavoro che soddisfi le loro aspettative, sebbene spesso non ci si renda conto di quanto difficile possa essere questa scelta, fatta da ragazzi che altro non desiderano che realizzare se stessi, per la crescita e lo sviluppo del Paese dove sono nati.

Ma è un disincanto che colpisce anche coloro che hanno già contribuito, con la loro mente ed il loro sudore, all’economia del Paese e dopo molti anni di lavoro, si ritrovano di fronte al miraggio della pensione. Sì, un miraggio, dato che da troppi anni il nostro Paese non è in grado di stabilire una politica sociale equa e stabile a livello pensionistico, una sorta di premio, che troppo spesso, però, diventa miraggio di una condizione tanto desiderata quanto irraggiungibile.

Eppure, dal punto di vista economico, i giornali degli ultimi giorni sono pieni di notizie che tracciano la drammatica situazione in cui stanno precipitando Grecia, Spagna e Portogallo. Troppo facile, a nostro avviso, aggrapparsi al classico “c’è chi sta peggio”, che suona quasi come una sorta di apatia e passività, che inibiscono la voglia di riscatto di un Paese, voglia che troppo spesso resta limitata (ed inascoltata) alle fasce medio-basse della popolazione. Troppo comodo, in confronto all’alternativa di guardare con ammirazione e voglia di equiparare i proprio risultati con quelli dei Paesi in netto vantaggio nella scala di valutazione del benessere generalizzato e dei parametri economici fondamentali.

Una fotografia, dunque, del nostro Paese. Nel quale si tende a contrastare le politiche altrui in virtù di ideologie morte e sepolte, gridando allo scandalo quando si osi solo supporre che chi più ha più deve contribuire al risanamento economico del Paese, avendo più avuto: la risposta, in questi casi, sembra una litania, si urla all’untore accusando l’opposizione di voler introdurre anacronistiche ed antidemocratiche “tasse patrimoniali”. Dopo di che, gratta gratta nelle pieghe delle misure finanziarie che l’Europa ci ha imposto e scopri che si vuole riformare l’<imposizione diretta> mediante l’introduzione di tre nuove aliquote, 20%, 30% e 40%. Ma, come fa notare qualcuno, “poiché gran parte dei lavoratori a reddito medio già paga un’aliquota del 30 per cento, i veri beneficiari della riduzione Irpef sarebbero i contribuenti a reddito alto[1] mediante un sensibile abbattimento da aliquote certamente più importanti ad un insperato 40%: un provvedimento alla Robin Hood, insomma: ma al contrario! Questo governo, che aveva assicurato la diminuzione del carico fiscale per i contribuenti, e ne aveva fatto il proprio cavallo di battaglia, ora aumenta proprio le tasse di lavoratori dipendenti e pensionati, un danno secco al loro reddito quantizzabile dentro la forchetta 1200-1800 euro l’anno per famiglia. E tutto ciò nello stesso momento in cui, secondo l’Istat, «oltre tre milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta. Lo rileva l’Istat, a proposito dell’anno 2010. Più in dettaglio, secondo l’Istituto nazionale di statistica, sono 1 milione e 156 mila in Italia le famiglie in condizioni di povertà assoluta (il 4,6% di quelle residenti), per un totale di 3 milioni e 129 mila persone (il 5,2% della popolazione residente). Secondo l’Istat sono assolutamente povere le famiglie che non riescono ad accedere ai beni e servizi essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Si tratta, quindi, dice l’Istituto dei “più poveri tra i poveri”. Oltre ai tre milioni di poveri assoluti, ci sono Italia nel 2010 anche 8 milioni 272 mila poveri, il 13,8% dell’intera popolazione. Le famiglie colpite da questo tipo di povertà, chiamata in termini tecnici «relativa», sono 2 milioni e 734 mila (l’11% di quelle residenti). L’Istituto spiega che si tratta delle famiglie che non riescono a spendere più di 992,46 euro al mese ogni due componenti. Una terza categoria, poi, sono i “quasi poveri”, ovvero quelli che possono arrivare a spendere, in due, fino al 20% in più dei poveri, cioè tra 992,46 e 1190,95 euro. Sommandoli ai poveri, costituiscono una famiglia su cinque: il 18,6% dei nuclei (l’11% sono quelli poveri, il 7,6% quelli quasi poveri).»[2]

Ci sbagliavamo, non si tratta del nostro martoriato Paese, si parla di uno Stato che sta vivendo trasformazioni ben più drastiche e potenti, l’Ungheria, un Paese che si trova a fare i conti con un cambio di regime, con tanto di attese e disillusioni sociali correlate, che vede un popolo desideroso di cambiamento, di un cambiamento in meglio, restare amareggiato di fronte a tutta una serie di problematiche sociali, di cui quelle trattate sopra sono solo l’aspetto più evidente.

Certo è, però, che se venisse dato maggiore risalto a simili spunti di riflessione, si potrebbe cominciare ad intravvedere uno spiraglio di cambiamento vero, di miglioramento delle condizioni di vita, del benessere sociale, di soddisfazione del cittadino che si sente fiero del proprio Paese. Il cambiamento deve partire seriamente dal basso, perché attualmente, le parole della filosofa Heller suonano fin troppo a tono con la situazione del nostro Paese: “… non è d’abitudine obiettare, piuttosto si resta in silenzio. Quindi, non solo i partiti ma anche la popolazione dovrebbe essere educata a un diverso comportamento”.


[1] Beniamino Lapadula, “Pagano sempre i soliti. E i tagli senza crescita peggiorano la situazione. L” annuncio di impegni futuri spinge i mercati a chiedere un più elevato premio di rischio. Si potrebbe scrivere un libro sugli errori di Tremonti”, http://www.rassegna.it/articoli/2011/07/13/76136/una-manovra-di-destra, lettura del 13.07.2011, 2355.

[2] http://www.corriere.it/cronache/11_luglio_15/istat-poverta-famiglie_e5dfcb62-aec1-11e0-82fd-68e04dbc5f96.shtml, lettura del 15.07.2011, 1329.