Pubblichiamo nuovamente l’articolo del nostro direttore, ora arricchito di due cartine tematiche prodotte dal Nucle Cartografico di Omega, composto da Adriano Cirillo, Guido Cormino e Alessandro Maresca.
GIORNI CRUCIALI PER I DESTINI DEL M.O. DEL MEDITERRANEO E DEL MONDO
L’incomprensibile silenzio della stampa italiana
di Enrico La Rosa
A parte qualche cenno della pubblicistica specializzata, letta solo dagli esperti, normalmente suppellettili sui tavolini d’angolo degli studi importanti o snob, le cronache ‘esteri’ dei maggiori quotidiani italiani continuano ad ignorare o a sottovalutare gli avvenimenti che stanno maturando in questi giorni, probabilmente destinati a segnare i destini del Mediterraneo e del mondo intero.
E’ in corso, da parte palestinese, l’organizzazione di un vero atto di forza, teso a costringere l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a riconoscere la legittimità di uno stato di Palestina all’interno dei confini del giugno 1967, comprendenti la Cisgiordania, in toto o in parte, la striscia di Gaza e Gerusalemme Est, in aderenza con il dettato della risoluzione delle NN.UU. n. 242 del 22 novembre 1967, emanata al termine della guerra dei sei giorni, che intimava a Israele di ritirarsi dai territori occupati e ribadiva il diritto alla sovranità e alla sicurezza di tutti gli Stati della regione.
Settembre 2011 è la scadenza impostasi dal “quartetto per la pace in M.O.” (EU, US, RUS e UN) nel 2010 per il raggiungimento di un accordo sulle questioni relative allo Stato permanente e per il completamento del programma biennale di costruzione dello Stato dell’Autorità Nazionale Palestinese. Nonostante l’avvicinarsi ormai prossimo di tale data, il processo di pace si è arenato nel settembre del 2010. Ha provato a rianimarlo il presidente Barak Obama nel maggio di quest’anno, sollecitando una ripresa del negoziato che prendesse le mosse dai confini del 1967, ma la reazione di Netannyahu è stata durissima ed il Premier israeliano è arrivato a definire l’idea “unrealistic” e “indefensible”.
Più nulla di rilevante sino alla fine di giugno.
Da qui l’intenzione di Abbas di richiedere alle Nazioni Unite, nella plenaria di settembre, di considerare la Palestina un membro a pieno titolo dell’Assemblea. I portavoce dell’Autorità Nazionale Palestinese, nel riportare la cosa si rifanno – anch’essi – ai confini precedenti il 1967, in ottemperanza ai contenuti della citata risoluzione del novembre ’67.
Il leader palestinese sa di dover superare la soglia dei due terzi dei 192 membri dell’Assemblea Generale, numero pari a 128 unità. Egli sa di potere sicuramente contare sull’appoggio dei 100 Paesi (arabi, comunisti, non allineati) che riconobbero lo “Stato di Palestina” proclamato ad Algeri il 15 novembre 1988 da parte del Consiglio nazionale palestinese, l’organo legislativo della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) su iniziativa del leader Arafat, che, nella dichiarazione finale, citò il trattato di Losanna (1923) e la risoluzione 181 dell’Assemblea delle NN.UU. In un’intervista della fine di giugno di quest’anno Nabil Chaath, esponente di spicco di Fatah, ha assicurato che 115 Paesi hanno già riconosciuto lo Stato nato ad Algeri e 5 debbono esprimersi a breve, per un totale di 120. Ma ha anche assicurato l’esistenza di indiscrezioni secondo le quali entro settembre ulteriori 24 Paesi si uniranno nell’appoggio alla Palestina, tanto da far sperare nel superamento della barriera di 150 voti. I Palestinesi puntano, altresì, ad ottenere un atteggiamento di neutralità da parte di Barak Obama, Presidente di quegli Stati Uniti da sempre ‘tutori’ di Israele, gli unici (seguiti da UK) che hanno sempre esercitato il diritto di veto in favore degli interessi di quel Paese. Non bastasse, i Palestinesi ed i loro sostenitori stanno studiando il modo di costringere l’Assemblea generale delle NU a riprendere in esame, per verificarne lo stato d’attuazione, la risoluzione n. 181 del 29 novembre 1947, che, con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astenuti, disponeva la spartizione del “mandato britannico” in Palestina in due Stati sovrani, uno arabo ed uno ebraico.
Come risultato minimo, i Palestinesi si pongono l’obiettivo di essere accettati dall’Assemblea Generale in qualità di “osservatore”.
E’ importante leggere le parole scritte in proposito dal Segretario Generale delle NU nel messaggio indirizzato il 28 giugno al meeting internazionale delle Nazioni Unite a sostegno del processo di pace israelo-palestinese, pronunciato da Maxwell Gaylard, Vice-Coordinatore Speciale alle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente e Coordinatore Umanitario Permanente alle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati: «È essenziale per i Palestinesi concordare su un governo che possa vivere all’altezza delle aspettative della gente comune, mantenere la cooperazione alla sicurezza e la calma, rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale e sostenere i negoziati con Israele. A questo processo deve essere data una possibilità da tutti gli attori internazionali», «La comunità internazionale deve fare la sua parte per riportare le parti al tavolo dei negoziati. Il tempo è essenziale. Continuerò a fare tutto il possibile, come Segretario Generale e nell’ambito del Quartetto, per aiutare le parti a raggiungere una fine all’occupazione iniziata nel 1967, la fine del conflitto, una risoluzione di tutte le questioni riguardanti lo status finale – incluse Gerusalemme, i confini, i rifugiati e la sicurezza – e la nascita di uno Stato della Palestina sovrano, indipendente, contiguo e fattibile, in grado di vivere fianco a fianco, in pace e sicurezza con Israele»
Nel merito della questione, la creazione di uno stato di Palestina, con territori ulteriori rispetto alla Striscia di Gaza e la Cisgiordania, con capitale Gerusalemme est, è sufficientemente rispettosa degli accordi presi durante l’armistizio del 1949 ed ha costituito il fondamento della soluzione di pace araba proposta dell’Arabia Saudita nel marzo del 2002, che fu accettata dall’Autorità Nazionale Palestinese e da tutti i paesi membri della Lega Araba. Piano che permise, in cambio della tregua, il ristabilirsi delle relazioni diplomatiche tra i paesi arabi e Israele. Israele richiede la sua sicurezza come parte integrante ed essenziale del trattato, e perciò il ritorno ai confini precedenti il 1967 con le 10 miglia strategiche.
La mossa palestinese ha spiazzato il “quartetto” che ha pianificato un incontro a Washington in data 11 luglio, finalizzato alla elaborazione di un nuovo piano di pace concordato con la partecipazione di rappresentanti europei ed israeliani, ponendosi l’obiettivo di riesaminare, in alternativa, i suggerimenti di Barak Obama contenuti nel citato discorso di maggio.
L’incontro, sulla cui effettiva esecuzione e sui cui esiti non si hanno al momento indiscrezioni, avviene in un periodo molto critico, ossia a quattro giorni da quello del 15 richiesto dai rappresentanti palestinesi al SG delle NN.UU. allo scopo di assicurare sufficiente tempo alla votazione che sta loro a cuore durante la riunione di settembre.
La posizione israeliana rimane, nonostante tutto, legata alla convinzione ‘irrinunciabile’ che il contenzioso debba essere risolto in negoziati diretti tra le parti da tenersi a Washington.
Esistono margini di sviluppo in entrambe le direzioni.
Esiste anche, molto concreto, il rischio di un irrigidimento delle posizioni e del precipitare della situazione.
E sia l’una evoluzione, sia l’altra, avranno pesanti conseguenze sulla stabilità della regione e sulla pace mondiale.
Ma tutto ciò ai giornali italiani non interessa.
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