The Revolution Will Be Digitised

Autore: Heather Brooke
Editore: William Heinemann Ltd
Prezzo di copertina: £ 12.99
Formato: Libro in brossura
Data di pubblicazione: 18 Agosto 2011
ISBN: 0434020907
ISBN 13: 9780434020904

“The Revolution Will Be Digitised”, ultima opera della giornalista investigativa Heather Brooke,edito in Inghilterra da William Heinemann, è un libro che mi auguro venga presto pubblicato anche in Italia, nella nostra lingua.

La Brooke, nota nel modo anglosassone  anche per le sue inchieste sulla corruzione all’interno del Parlamento Inglese, che ha portato a numerose dimissioni ed arresti nella classe politica, usando un linguaggio di facile comprensione e facendo riferimento alle varie interviste e contatti con personaggi noti e meno noti (ma non per questo meno importanti) del mondo cybernetico, fra cui spicca la figura di Julian Assange, ci fornisce un reale e drammatico quadro della situazione attuale della privacy e dell’intrusione nei nostri mondi,con conseguente sfruttamento a fini di controllo o di indirizzo, sia per fini di pura gestione del potere che economici, di cui siamo soggetti volontari anche se inconsci.

Ben pochi di noi conoscono il termine CALEA (Communications Assistance for Law Enforcement Act) e di cosa esso rappresenti e dell’attività di lobby condotta dalle forze di sicurezza statunitense per estenderlo ad Internet, così come poco sappiamo delle policy di gruppi quali Facebook il cui creatore Mark Zuckerberg sostiene che la privacy è morta; o di come sia fallito il progetto Total Information Awareness, organizzato da John Poindexter, già consigliere alla sicurezza nazionale con il presidente  statunitense Ronald Reagan, e Brian Hicks,della Science Applications International Corporation,destinato a creare un enorme database di informazioni, personali e non, al fine, ufficialmente, di contrastare il terrorismo (tanto che il progetto fu ribattezzato Terrorism Information Awareness) e di come il Congresso Statunitense, spaventato dalla campagna stampa di numerosi media e dalla infignazione dell’opinione pubblica, abbia deciso nel 2003 di non rifinanziare il progetto costringendolo alla presunta morte; o di come il giornalista iraniano Isa Saharkhitz, favorevole alla linea di Khatami, sia stato controllato e quindi arrestato e poi torturato dai servizi segreti del suo paese che hanno usufruito di tecnologie fornitegli dalla Nokia Siemens Network che sfruttavano le apposite backdoors lasciate appositamente sui telefoni.

E certamente non molti sono a conoscenza della legge sulla libertà d’informazione approvata dal parlamento islandese, sotto la spinta di Birgitta Jonsdottir, chiamata Icelandic Modern Media Initiative[1] che ha trasformato l’Islanda in un porto franco per il giornalismo investigativo e di come la legge sia stata approvata sotto la spinta di una popolazione ribellatasi alla mancanza di informazioni o meglio alla carenza ed omissione volontaria di informazioni su fenomeni economici e politici  del 2009 che ne hanno determinato il tracollo finanziario.

Enumerare le numerose rivelazioni della giornalista in questa rapida carrellata del libro non servirebbe; ma quello che serve è sostanzialmente prendere coscienza del fenomeno e di come in nome di una sicurezza nazionale decisa certamente non dai cittadini ma dagli organi che dovrebbero essere delegati dai cittadini a gestire a loro sicurezza, vengano piano piano circoscritte libertà, privacy e, perché no, democrazia.

E ci dovremmo tutti porre il problema se il soldato Larry Manning, accusato di aver fornito a Wikileaks alcuni documenti considerati segreti, fra cui si annoverano i filmati della morte di giornalisti e persone in Iraq, considerati solo come “Collateral Damage”,  (al di là del fatto che non stessero assolutamente minacciando o mettendo a repentaglio la vita o la sicurezza delle forze statunitensi o della coalizione ) abbia fatto il suo dovere di fronte a quello che gli impone la sua Costituzione e le regole inviolabili ed irrinunciabili dei Diritti Umani oppure abbia tradito quella regola alla riservatezza che gli imponeva l’essere militare.

Si dirà che saranno i Giudici a determinarlo; ma è bene tener presente che i giudici fanno parte della società in cui vivono e devono tener conto del tessuto sociale su cui le sentenze vanno ad operare e quindi anche dell’opinione pubblica e della sua sensibilità. Ed una sentenza considerata iniqua agli occhi di tutta o quasi l’opinione pubblica e che non tenga conto dei principi fondamentali su cui è basata l’esistenza di una nazione democratica, non è una sentenza giusta, ma una sentenza che fa ricorso agli orpelli della legge scritta per giustificare la mancanza di Giustizia.

Guido Monno


[1] http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2010/09/27/birgitta-jonsdottir-ecco-come-il-mio-porto-franco-della-liberta-di-espressione/